Nel derby conta solo il risultato. Lo diceva Trapattoni, chiudendo la frase con uno spericolato «dolenti o nolenti, è così». Ma siamo nel calcio, e il calcio è un’altra cosa. È la partita che l’Avvocato non avrebbe mai voluto giocare. È una citazione obbligatoria, anche se nessuno sa dove potrà portare. Magari al vertice delle gaffe più assurde. «La politica non può finire come fosse un derby perenne, un Lazio-Roma, o un Torino-Sampdoria», disse Francesco Pionati, politico e giornalista di centro, in una di quelle giornate nelle quali, se sbagli un rigore, devi ritenerti fortunato che il tiro non abbia spedito in ospedale un fotografo.
Il derby del tennis, è diverso, perché non ha fine, non c’è torneo che non ne proponga quattro o cinque, e a nessuno verrebbe in mente di scrivere un pezzo per un incrocio fra due americani, o due spagnoli. Ma quando il derby è tutto nostro, allora lo spartito cambia. Forse perché siamo ancora disabituati all’idea che l’Italia del tennis possa farcire i tabelloni di azzurri e proporsi all’estero con un match che interessi una cerchia più ampia di spettatori. Invece, è proprio ciò che succede. Perché dal 2019 il nostro tennis ha un Top Ten, perché Berrettini è un finalista a Wimbledon e piace alle mamme e alle figlie, perché Sinner è «l’unico che possa battere Alcaraz, a parte Djokovic», secondo la sentenza emessa da Ivanisevic. Non solo… Nel recente passato ci siamo riusciti benissimo a tener banco con una partita tutta italiana. Il derby tra le amiche Vinci e Pennetta, che fece da ultimo atto agli US Open del 2015, destinati – si pensava – al Grand Slam di Serena Williams, conquistò i newyorchesi.
Un buon viatico viene dagli otto derby nelle 82 finali Atp che hanno consegnato un titolo all’Italia. Panatta a Senigaglia 1971 e Firenze 1974, contro Mulligan (naturalizzato italiano) e Bertolucci; Zugarelli a Bastad 1976 contro Barazzutti, che si rifece al Cairo 1980 contro Bertolucci. Poi Pistolesi a Bari 1987 su “Cancilla” Cancellotti, Narducci a Firenze 1988 su Claudio Panatta, Sinner a Melbourne 2021 contro Travaglia e Musetti a Napoli 2022 di fronte a Berrettini.
Così la vigilia tra Berrettini e Sinner siamo noi a renderla un po’ più speciale di quanto non sia a tutti gli effetti. Si sono sfiorati molte volte, avrebbero potuto incrociare le racchette quando Matteo era già top ten (dal 2019) e Sinner bazzicava il circuito da apprendista, o quando i due si avvicinarono in classifica (quella del primo novembre 2021 assegnava a Berretto il numero 7 e a Semola il 9). Invece si ritrovano di fronte oggi, a Toronto, in una situazione del tutto ribaltata. Sinner è stabile in Top Ten ormai da cinque mesi, Berrettini, un infortunio via l’altro, è finito a un passo dal numero 40. Restano più vicini, forse, sul piano emotivo e del gioco. Matteo in decisa ripresa dopo un Championship giocato con grande intensità, e contro avversari che davvero non sembravano favorire un rilancio. Sonego, De Minaur, Zverev, prima della sconfitta in ottavi contro Alcaraz cui ha sfilato un set. Sinner – ormai a un passo dai 22, li compirà il 16 – finalmente semifinalista in uno Slam, grazie a un tabellone fortunato (il francese Halys, 79, il migliore in classifica tra quelli affrontati) ma anche percorso con il giusto piglio. Fino al match con Djokovic, che lui sostiene aver giocato al meglio (e a me ha dato l’impressione di non aver osato il dovuto). Per entrambi, la missione è uno US Open da protagonisti. Ma per Matteo, fuori dalla teste di serie, non sarà facile. A meno che non faccia miracoli a Toronto, dove è partito con autorevolezza contro Barrere, mentre Sinner ha scelto il doppio per tenere caldi i muscoli.
Del resto, proprio nell’ultimo derby giocato, Berrettini ha conosciuto la caduta più mortificante, poi la rinascita. Battuto da Sonego a Stoccarda, uscito dal campo in lacrime, Matteo ha ritrovato l’amico a Wimbledon in un match durato tre giorni, che l’ha visto concedere il primo set, poi risollevarsi. Ora Sinner, per capire a che punto sia la risalita. E a che punto sia Jannik.
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