L’Australian Open del nostro scontento

In modo un po’ precipitoso, dopo il dritto in contropiede che ha dato il successo a Tsitsipas contro Sinner, in molti si sono affrettati a sottolineare che rispetto all’anno scorso i progressi del giovane (sempre meno) italiano sarebbero evidenti. In effetti il disastro combinato nell’edizione del 2022, quando, contro lo stesso Tsitsipas, Sinner raggranellò la miseria di nove games non entrando mai in partita e avvilendolo al punto di decidere di cambiare coach, è davvero lontano ma pensare che basti questo per rallegrarsi di immaginari progressi è quanto meno approssimativo.

Sinner affrontò quella partita dopo aver battuto senza patire nulla gente come Alexis de Minaur ad esempio, o lo stesso Taro Daniel, avversari non fortissimi ma decisamente di altro livello rispetto all’Edmund di quest’anno o a Marton Fucsovics, contro cui è stato sotto due set e uno e break nel quarto, prima che l’ungherese si ricordasse che da circa un anno non vinceva una partita intera sul cemento prima di questo suo Australian Open. Sinner decise lo stesso di cambiare tutto quanto e iniziò questo percorso che avrebbe dovuto condurlo – in tempi rapidi, ché il tennis non è solito aspettare – quanto meno a lottare per le fasi finali di uno slam e stabilmente nella top10, se non proprio nella top5.

Quanto di tutto questo sia successo è, dovrebbe essere, sotto gli occhi di tutti. Accompagnato da giustificazioni francamente risibili, Sinner per la terza volta di fila è uscito dallo slam non appena trovato un tennista davvero forte. Non è stato necessario neppure il fuoriclasse all’apice delle sue capacità, perché lo Tsitsipas di oggi è stato un giocatore all’altezza del suo recente passato, molto balbettante e fiiscamente in difficoltà. Ma Tsitsipas è appunto un top5, gente che Sinner, a 21 anni, non ha mai battuto in uno slam e più in generale una sola volta in carriera. Sinner è così uscito dalla top10, deve sperare in incroci di risultati per rimane numero 16 anche alla fine di questo torneo, e soprattutto, sembra in una sorta di limbo tattico.

Il fatto è che il cambiamento di un anno fa fu dovuto ad una esigenza che si può considerare sacrosanta a patto di comprenderla e considerarla per quella che è. Siccome il ragazzo era già fortissimo nei fondamentali da fondo cambiò guida tecnica per imparare le “variazioni”. Sorta di Santo Graal del tennis, le variazioni sarebbe in grado di far fare il salto di qualità a tennisti già fortissimi e a condurli, attraverso strade lastricate di rose, alla conquista di inimmaginabili vette. Nello specifico, si trattava di migliorare la prima di servizio ma soprattutto di avvicinarsi alla rete o giocare un numero maggiore di dropshot durante gli scambi. Tutto questo, non possiamo che concordare, è cosa santa e giusta ma ad una condizione: che si capiscano i punti forti, ci si basi essenzialmente su quelli e solo in caso di scarso funzionamento di quelli si pensi, nel corso del match, ad utilizzarli. Nessuno pretende che ci si trasformi in una specie di genio della lettura della partita come Nadal, ma nemmeno era il caso di cominciare a provare variazioni su variazioni in modo random, senza che il match lo richiedesse particolarmente. Il risultato è stato, sin qui, che le partite di Sinner sono diventate inesplicabili, pieni di confusione, perché si passa da momenti di quasi dominio a momenti di sconforto. Le variazioni non sembrano funzionali al momento del match, ma vengono disseminate nell’incontro in modo che appare davvero molto casuale. Sinner non deve diventare Edberg, deve essere in condizione di fare una volée se il momento lo richiede senza sembrare Rublev. Invece si sono distillati dubbi nel solido schema che l’aveva portato in top10. Nadal vinceva slam avvicinandosi a rete solo per stringere la mano all’avversario. Va bene che è un fenomeno ma nessuno chiede a Sinner che vinca 15 Roland Garros.

Questo quando non si incontra un avversario forte, perché in quel caso queste dinamiche si incrociano con le qualità di chi ha di fronte. Nella partita di oggi, banalmente, ha fatto tutto Tsitsipas: fino a quando ha giocato ad un livello accettabile è andato avanti senza problemi, poi è calato e si è fatto raggiungere, e alla stretta decisiva ha messo il 92% di prime e buonanotte ai suonatori.

Tutto questo per dire che non bisogna illudersi più di tanto. Sinner è un giocatore molto forte e dobbiamo ringraziare il cielo e tutti quanti hanno contribuito a portarlo al punto in cui è, ma non è il dominatore del futuro prossimo. I casi di Alcaraz e Rune dovrebbero banalmente condurre a sobri consigli i pasdaran che si aggirano su riviste più o meno specializzate e sui social, e per quanto si possano comprendere le ragioni non sempre nobili di tanta cecità sarebbe il caso di rendere servizi migliori ai nostri 12 lettori. Il caso di Sinner fra l’altro, si somma a quello di Berrettini e Musetti, che hanno completato uno slam che non si può che definire deludente per i colori italiani. Le cose miglioreranno a Parigi? Chissà, forse sì, si può sempre dare un torneo in cui si trova uno spiraglio buono, soprattutto, sia consentita la battuta, sin quando Ruud sarà tra le prime due teste di serie. Però anche allora, se mai davvero una fortunata serie di combinazioni condurrà uno dei nostri a tornare in una finale slam, sarebbe il caso di spiegare come mai Sinner o Berrettini sì e Tsitsipas, Auger Aliassime, Zverev, Shapovalov, Kyrgios, Korda, ecc ecc, invece no. Speranza vana, lo sappiamo. Pazienza.

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