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Il tennis cambia, ma Djokovic no. E ora missione grande slam

Il tennis non cambia. E quanto abbia voglia di farlo, a questo punto è una domanda quanto mai legittima. In piena Next Gen ormai da sei anni, i tornei del Grand Slam appartengono ancora all’antica classe dirigente. A Melbourne vince Djokovic – chi altri? – e lo fa dominando. L’anno scorso aveva trionfato Nadal. Stefanos Tsitsipas gli va vicino nel punteggio, lo insidia trascinandolo lungo due tie break, ma resta lontanissimo nel merito. Tra i due, sembra esserci un abisso. Al Roland Garros il favorito è Rafa, e se qualcosa andrà storto sarà di Nole la candidatura più autorevole. Wimbledon già oggi si preannuncia come un feudo serbo. Solo a New York è concessa qualche libertà in più. Nel 2020 vinse Thiem, l’anno dopo Medvedev, poi Alcaraz. Il nuovo tennis, sembra di capire, funziona solo nella città dove tutto è possibile.

Nell’era del tennis mentale, gli Slam rappresentano un paradosso che invita a riflessioni amare: ai giovani sembra mancare la mentalità giusta per affrontarli. L’immagine che chiude gli Open d’Australia è quella del Djoker in lacrime nel box che ospita staff e famigliari. È un pianto dirotto, genuino e contagioso, che attacca le corde più emotive dei suoi tifosi, delle tifose soprattutto, e le riduce alla consistenza di un semolino. In pochi minuti lo sfogo viene condiviso da metà stadio. Nole si stende sul pavimento del box, coach Ivanisevic e gli altri del team, con il fratello e la mamma, gli sono intorno per evitare che telecamere troppo curiose riescano a infrangere quel po’ di privacy che in certi momenti è necessaria. Ma il gioco a nascondino riesce solo in parte, e forse è meglio così. Le lacrime del campione fanno parte della storia di questo match, perché ne offrono una valutazione diversa da quella che risultato e confronto tecnico hanno posto in evidenza. Rendono percepibile quale sia stata la vera differenza dei valori in campo.

Ben oltre la pressione, che Nole ha avvertito più del ragazzo di Atene, ed è salita giorno per giorno fino alle polemiche che hanno preso di mira il padre (anche ieri confinato in albergo), al di là dei colpi, dei set point, dei tie break che hanno dato forma alla vittoria, e della straordinaria qualità di Djokovic nel difendersi e contrattaccare allo stesso tempo, la differenza  l’hanno fatta i caratteri dei due protagonisti. Sono state proprio quelle lacrime a mostrare quanto siano ancora presenti, in Nole, la voglia di fare al meglio il proprio mestiere, di non lasciare niente d’intentato, la disponibilità a mettere tutto se stesso su un obiettivo da raggiungere. Ha mostrato identiche doti Tsitsipas? Molto meno. Non è stato presente nei momenti in cui era indispensabile dare tutto. Ha giocato senza brio il primo set, presto nelle mani del serbo, e quando ha trovato finalmente le risorse per entrare in partita, e spingere di più con la prima di servizio, riuscendo a imporre una sostanziale parità negli scambi, ha fallito tutte le occasioni più importanti. Ha avuto un set point sul 5-4 30-40 del secondo set, e si è accontentato di restare rincantucciato sulla linea di fondo in attesa degli eventi. Ha ottenuto l’unico break del suo match nel primo gioco della terza frazione, e l’ha restituito nel game successivo. Quel che è peggio, ha giocato con animo da sottoposto i due tie break. In quello conclusivo del secondo set non gli è bastato recuperare da 4-1 a 4 pari, sul più bello non ha tenuto una palla in campo. E nell’ultimo è finito sotto 5-1, prima di togliere il disturbo.

«Non ero nervoso, meno che mai timoroso», si difende Stefanos. «Anzi, mi sentivo eccitato all’idea di giocare questa finale, e credo di essere stato vicino a Djokovic nel punteggio. Nel primo set il servizio non funzionava, poi mi sono tranquillizzato e ho avuto le mie occasioni. Credo che al mio tennis manchi ormai poco per essere alla pari con quello dei più forti, e continuo a pensare che questa stagione mi darà grandi soddisfazioni». Contento lui…

La cosa che è piaciuta di più a Nole è quando Tsitsipas, nel corso della premiazione, gli ha fatto sapere di considerarlo il vero GOAT del tennis, il più grande di tutti i tempi. Poi però ha corretto il tiro… «Mi riferivo a lui, ma anche a Federer e Nadal, ai tre che hanno condiviso il periodo più incredibile del nostro sport».

«È la vittoria più bella della mia vita», dice Novak, e precisa: «Non per il gioco, o per il punteggio, ma per le difficoltà che ho dovuto superare in queste due settimane. Il ritorno in Australia già mi metteva grande pressione, poi l’infortunio e le polemiche intorno a mio padre. Essere riuscito ad alzare un nuovo trofeo, mi inorgoglisce».

A due anni dal tentativo di conquistare il Grande Slam, fallito sotto i colpi di Medvedev nella finale degli US Open 2021, il trofeo australiano rilancia le ambizioni del Djoker. L’ipotesi è ancora lontana, ma plausibile. Le conquiste di giornata lo spingono al record di vittorie australiane (10), al fianco di Nadal nel numero di Slam vinti (22), a meno dieci da Federer per i tornei conquistati nel Tour (103 a 93), e di nuovo sul podio più alto, il più anziano a salire fin lassù. Non è poco. Tsitsipas (che risale al numero tre), non gli è finito lontano, ma nemmeno vicino. Semplicemente, non ha fatto tutto ciò che avrebbe dovuto fare. L’anno ricomincia dall’ultimo degli antichi padroni. I giovani, come sempre, possono aspettare.

Daniele Azzolini

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