Nonostate per un quindicennio abbondante gli Slam abbiano avuto un andamento sostanzialmente già scritto, raramente le finali sono state così sbilanciate. Quelle del Roland Garros sicuramente, forse qualche Wimbledon ma per tornare a Melbourne nonostante le 9 vittorie, la maggior parte conquistate da favorito, le finali sembrano sempre presentare qualche insidia per Djokovic, almeno in fase di pronostico. Da quella contro Tsonga a quella contro Medvedev, passando per le due vittorie contro Nadal, le quattro contro Murray e quella contro Thiem, ci si è sempre illusi di avere dei match aperti. A volte è andata bene, come nel 2012, la famigerata partita durata sei ore, o nel 2020, quando Thiem buttò all’aria un match che pareva avere in pugno. Più spesso Djokovic ha lasciato briciole, a volte persino in modo imbarazzante: nove game a Murray nel 2011; otto a Nadal nel 2018; nove a Medvedev nel 2021. Ma appunto, prima che il match cominciasse si dava maggor credito ai finalisti. Stavolta pare tutto già scritto da almeno una settimana, forse dall’inizio del torneo. Djokovic ha volteggiato leggero su avversari francamente improponibili e le uniche difficoltà se l’è creato da solo. Roba di poco conto, sintende: il prolungamento al tiebreak del primo set con Dimitrov; il set perso contro un mezzo carneade come Couacaud, i quattro game di fila persi contro Paul dal 5-1 nel primo set. Djokovic ha perso in tutto 47 game, di cui 7 in un set solo, quello appunto contro Couacaud. Ne aveva persi 54 nel 2008 e 49 nel 2011, quando però giocò un paio di set in meno per via del ritiro di Troicky all’inizio del secondo set. Come ormai da qualche anno siamo in presenza del paradosso di un atleta che alle soglie del suo trentaseiesimo compleanno pare stare meglio di quando di anni ne aveva venticinque. Bravo lui naturalmente, un po’ meno i suoi avversari, che sembrano diventati via via più teneri, e merito anche di tabelloni vagamente meno complicati, quest’anno semplificati ulteriormente dalla defezione di Alcaraz, che in fondo sarebbe pur sempre il numero 1 del ranking, almeno fino a domani.
A questo va aggiunto il 10-2 che pesa come un macigno sulle spalle di Tsitsipas. Il greco vinse due dei primi tre incontri, tra il 2018 e il 2019 per poi non riuscire più a trovare la chiave per disinnescarlo. Complice, crediamo, l’incredibile vicenda della finale del Roland Garros, che con una strategia un po’ infantile entrambi hanno fatto finta di non ricordare. In quel match Tsitsipas portò Djokovic sostanzialmente all’avvilimento, prendendolo a pallate per un paio d’ore. Quel match arrivava qualche mese dopo la semifinale anomala dell’ottobre parigino, quando Tsitsipas rimontò due set prima di crollare al quinto. Sembrava quindi il preludio al sorpasso ma quando tutto sembrava essersi compiuto, Tsitsipas perse il servizio per la seconda volta dopo un interminabile game e da lì in poi non riuscì più a mettere in difficoltà Djokovic. “Da lì in poi” va inteso per un anno e mezzo, perché Tsitsipas tornerà ad impensierire Djokovic solo a Bercy, un paio di mesi fa, in un match finito al tiebreak del terzo set.
Ci sono dei motivi tecnici abbastanza evidenti che spiegano tutto questo. Tsitsipas ha uno dei suoi punti di forza nel servizio, ma anche se è un colpo che continua a migliorare la risposta di Djokovic è qualcosa di mai visto prima su un campo di tennis, cosa che da sola limita notevolmente il rendimento del greco. Il punto debole di Tsitsipas invece, tutto quello che gioca sulla sua sinistra, impatta quello che forse è il colpo migliore del serbo, cio il rovescio. E per quanto Tsitsipas si muova benissimo, in manovra Djokovic rimane più efficace potendo contare appunto su più soluzioni.
Con questi presupposti qualsiasi risultato diverso dal 3-0 secco per il serbo sembra più un desiderio che un pronostico però per fortuna non siamo al teatro o al cinema, dove i finali sono già scritti. Capire cosa possa succedere per evitare quello che sembra l’inevitabile epilogo non è impresa improba e in fondo c’è sempre un altro modo per vedere le cose.
Djokovic lamenta dall’inizio del torneo, anche prima a dire il vero, un fastidio alla coscia sinistra che è visibilmente fasciata in ogni match. Ha giocato con avversari molto teneri e molto diversi da Tsitsipas, e non sappiamo come potrebbe reagire il suo fisico se la partita si allungasse. Inoltre sembra più nervoso del solito, visto che anche in match che sono filati via tranquilli ha trovato modo di litigare col pubblico, col giudice di sedia e col suo angolo. Per non parlare delle questioni extra tennistiche, che non è pensabile lo abbiao lasciato indifferente.
Tsitsipas è sembrato migliorato, nel corso del torneo, anche dal punto di vista della solidità mentale, come esperito da Sinner e anche da Khachanov, che probabilmente si augurava un qualche cedimento dopo che Tsitsipas aveva buttato alle ortiche il terzo set in semifinale. E invece Tsitsipas ha continuato come se nulla fosse, aiutato da un dritto che è diventato un colpo micidiale, vero spartiacque del gioco del greco: dovesse funzionare come in tutto il torneo la partita diventerebbe almeno maggiorente equilibrata.
Non è tanto per rendere il pronostico incerto e rimane che il risultato più probabile è una sconfitta, magari onorevole, per Tsitsipas. Ma come detto è tennis, in palio c’è pure il primato del ranking – roba buona per far vendere ai giornali, mai come in questo periodo il ranking è contato poco – e tutto sommato di sorprese più grosse ne abbiamo già viste, di un paio proprio con il serbo protagonista. Chissà.
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