Quel tennis, il suo tennis, gli sta d’incanto. S’intona con la storia dello sport, per quanto vi sia di epico nel sollevarsi dalle proprie fragilità. È insieme adulto eppure turbinoso come un gioco di bimbi, freddo come il raziocinio ma sempre uguale e diverso, alla stessa maniera di un fuoco dal quale sia impossibile distrarre lo sguardo. A volte il tennis è una porta aperta su un mondo affatato, ed evoca la bellezza, la attrae, se ne appropria per il semplice bisogno di estasi.
Matteo Berrettini ha un merito. E non c’è ragione per non attribuirglielo subito, anteponendolo alla stessa vittoria che è sembrata prendere forma tra le scosse di uno sciame sismico, e potrebbe valere una fortuna. Quello di aver reso bellissimo un confronto che, privato del suo acume, della sua volontà, dell’umanissimo cuore che mette in tutto ciò che fa, della resistenza che sa estrarre da se stesso, sarebbe stato simile a un cieco e furente scontro di muscoli, con la voglia di sopraffarsi a fornire l’unico tracciato riconoscibile.
È stato Matteo a scrivere la trama del match, riservandosi le parti da protagonista e relegando Carlitos Alcaraz al ruolo di attor giovane, che è quello che gli spetta per motivi di età, sebbene la recita del ragazzo nato sul mare di Murcia, lasci intuire con quali altissimi repertori saprà misurarsi nel futuro.
Ma è ancora presto, Berrettini gliel’ha detto chiaro e tondo. In una recita lunga oltre 4 ore, Matteo ha calibrato i tempi della sofferenza con quelli della risalita, la fortuna con la sua controparte, il dominio con l’improvviso cedimento, fino a giungere a un passo dalla resa. È caduto e si è rimesso in piedi. E da lì è ripartito, in uno sfolgorante assolo finale, nel quale non ha commesso un solo errore. Un mattatore autentico. E un match tra i più intensi che si siano mai visti. Il più bello finora, e chissà per quanto ancora.
Non è facile cogliere le note salienti in un duello che ha condotto per mano il pubblico a tifare indistintamente per entrambi i protagonisti. Matteo ha dovuto disinnescare 5 palle break nei primi due turni di servizio, ma è stata la sua replica, giunta al suono di servizi da subito devastanti, a scalfire la fiducia del nipotino di Rafa, e indurlo a chiedersi con quali altre armi affrontare il nostro, se le migliori le aveva già utilizzate. È andato in confusione, il giovanotto, e Matteo l’ha crivellato di colpi, ben sapendo che alla prima possibilità quello sarebbe tornato a schiantare dritti e rovesci con il frastuono di un fulmine. È stato il break strappato nel primo gioco del secondo set a prolungare il dominio, senza renderlo però definitivo. Cenni di ripresa, da parte di Alcaraz, si sono avuti subito dopo, ma il break è giunto all’ottavo game, annuncio di un tie break in cui Matteo si è giocato una buona parte della vittoria. L’ha fatto con lucida determinazione, però. Dall’1 pari al 6-1 in uno sbattere di ciglia, prima della chiusura sul 7-3.
A quel punto, toccava ad Alcaraz cambiare il destino del match. Vi è riuscito quando Matteo ha avvertito i primi morsi della stanchezza, sul finire di un terzo set fin lì privo di scossoni. Il momento più delicato per Matteo è durato 10 giochi, dal break subito al nono game del terzo ai due concessi nel quarto.
Dal 2-0 al 2 pari fa male. Anche se è ragionevole che accada, quando l’avversario dispone di colpi straordinari e della fresca vitalità della giovinezza. Pochi avrebbero dato possibile un ritorno in scena così imperioso di Berrettini. Ma il quinto set è stato il suo capolavoro. È lì che è caduto rovinosamente, la caviglia piegata dal peso di un recupero in corsa. E il primo a correre da lui è stato Alcaraz. Niente di rotto, anche se Matteo non ha potuto fare a meno di sbottare, «un anno fa gli addominali, nella prima giornata la dissenteria, ora la caduta, sembra che qualcuno meni gramo». Ma i piani di riscossa non li ha cambiati, ha lavorato ai fianchi Alcaraz, a metà del quinto l’ha costretto a un game infinito, sul 6-5 ha avuto un match point. E nel tie break (a 10 punti) è tornato a comandare, staccandosi fino al 5-9. Alcaraz ha capito, e con un doppio fallo si è tirato via dalla mischia.
«Alla sua età io non avevo nemmeno i punti Atp per giocare questi tornei. Carlos ha fisico e colpi, mi tengo stretta la vittoria, una delle più belle, ma lui ha davanti a sé un futuro straordinario. Ho preparato bene il match, e volevo vincerlo a tutti i costi. Sono stato aggressivo, e se quella palla del terzo set non fosse uscita di due millimetri, forse ne sarebbe uscita una vittoria in tre set». Negli ottavi c’è un altro spagnolo, Carreno Busta. «Ci siamo allenati insieme, ma è la prima volta che ci affrontiamo. Sono fiducioso, ma agli ottavi non mi aspetto sconti da nessuno».
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