È stato davvero un bel debutto, quello di Sinner. Lo dico con la stessa schiettezza con la quale mi sono permesso di criticare, tempo addietro, la sua rinuncia alle Olimpiadi. Non lo conosco di persona, il ragazzo dai capelli rossi, magari prima o poi capiterà che ci si incroci, e allora sarà lui a dirmi se avevo ragione o torto.
In generale vorrei dirgli di non rinunciare mai al confronto, con chiunque, anche con quei colleghi un bel po’ anziani che lì per lì sembra vogliano entrare in tackle nella sua vita. Diffidi, magari, ma accetti sempre lo scambio di idee. Credimi, Jannik, può esserti utile. E ti rafforza dentro.
Ma se restiamo al tennis, bè, non occorre essere scienziati per stabilire che Sinner rientra nella fascia dei molto forti. Ha le doti giuste, le reazioni giuste. Sa ciò che deve fare, e contro il polacco Hurkacz lo ha fatto fino in fondo, prendendo il sopravvento e guidando il gioco. È stato lui a dettare i tempi e i modi del match, e non ha permesso all’avversario di sottrarsi a quella supremazia. Una prova a tutto tondo, lucida, confortante. Matura, direi. Scrivo queste righe prima del match con Medvedev, ma sono convinto che il mio giudizio non avrà modo di ribaltarsi. Avrei preferito vederli insieme in questo Master, Matteo e Jannik, ci sono andati vicini, poi c’è stato un accumulo di sfortune da una parte. Ma è stata bella, a suo modo, anche la staffetta cui hanno dato vita, così insolita per un tennis come il nostro. E non si può davvero dimenticare l’autorità con cui Sinner ha superato le angosce del debutto, che di sicuro ci saranno state. Primo impatto e prima vittoria. Chapeau.
Dal Master alla Davis, ora. L’argomento è obbligatorio. Una Coppa di cui faccio fatica a parlare, tanto si è allontanata dalla sua storia e dai compiti che ha sempre svolto nel tennis internazionale. Era un viaggio nell’altro tennis, un modo per unire punti di vista e modi di essere opposti. Il confronto con il pubblico era un elemento in gioco, e pesava il suo. Soprattutto, era un pezzo di storia del nostro sport che viveva delle proprie caratteristiche, e alla fine forniva verdetti tutt’altro che banali, e mai così scontati. L’hanno uccisa, il dispiacere è immenso. Ma a questi ragazzi posso dire solo di giocarla con lo spirito antico, con l’orgoglio che deve esserci nell’indossare la maglia della squadra nazionale. Hanno Stati Uniti e Colombia, e con i primi non sarà un confronto facile. Squadra di giganti, di pivot, ma anche di tennisti di buon valore e con un doppio che, con Ram e Sock, parte favorito.
Sulla carta la squadra italiana è forte, e con Berrettini lo sarebbe stata certamente di più. Il giovane Jannik dovrà avere le spalle larghe. Ma il gioco vale la candela: se uno fa bene in Davis, poi tutto gli sembrerà più facile.
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