Il Boss è pronto a prendersi il banco, deve solo avere pazienza. E lui di pazienza ne ha tanta. Il ragazzo si farà. Denis Shapovalov di Bruce Springsteen ha la determinazione, la mania del perfezionismo, la vena artistica applicata al mestiere. Questo ragazzone è l’ultimo dei predestinati che il mondo del tennis ha fretta di mettere sul piedistallo.
Viviamo da tempo immemorabile poggiando i nostri sogni su due soli nomi: Roger Federer e Rafa Nadal. Il terzo sul podio è Novak Djokovic. Bravo, bravissimo, vincente. Ma non mi sembra abbia sufficiente carisma per segnare un’epoca. Per un periodo ci siamo illusi che i Fab Four potessero regalare linfa vitale a questo sport, poi siamo tornati a spiare i giovani talenti nella speranza che nascesse quello giusto. E facesse in fretta. Ne abbiamo consumati un po’ lungo il cammino, ora tocca a lui stupirci.
È bastata una settimana per catturare occhi e mente di chi lo guardava. Per il cuore, come hanno già fatto Rafa e Roger, ci vuole tempo. Denis ha i colpi per prendersi tutto. Mancino con la gemma preziosa del rovescio a una mano, merce rara. È stata la mamma a insegnargli a tirarlo, la signora Tessa: donna di religione ebraica nata in Unione Sovietica dove è stata tennista di discreto livello. Lì ha conosciuto, frequentato e sposato Viktor. Uomo d’affari, cristiano ortodosso, innamorato perso. Quando gli anni Novanta erano appena cominciati e l’URSS deflagrava nella frantumazione delle repubbliche, i due hanno pensato di emigrare in Israele.
Aveva trent’anni Tessa quando nasceva Denis, il secondogenito. Il primo figlio si chiama Evgeny. Un giorno moglie e marito, colti da una tensione che diventata sempre più pesante, hanno avuto paura che la situazione a Tel Aviv potesse diventare troppo pericolosa per i due bambini. Hanno così fatto armi e bagagli e sono volati in Canada.
Lei parlava qualche parola d’inglese, lui non riusciva neppure a tradurre i titoli dei giornali. Ma si sono adattati. La signora Shapovalova ha trovato lavoro in un circolo di tennis, poi ne ha messo in piedi uno tutto suo a Vaughan: trecentomila abitanti a nord di Toronto. Ha chiamato il club come se fosse un pub, un dancing, un ristorante alla moda: Tessa Tennis. Pronunciando quel nome bisogna fare attenzione a non annodarsi la lingua.
«Dai Evgeny, proviamo ancora».
«Mamma, sono stanco, non ce la faccio più».
«Io non sono stanco, resto ancora in campo».
«Denis, il tennis deve proprio piacerti tanto».
«Sì mamma. È divertente».
Aveva solo cinque anni e già aveva capito una regola importante. Se ci si diverte non ci si può stancare.
A otto anni il ragazzino aveva i capelli lunghi e biondi, una bandana sulla testa, picchiava come un dannato di dritto e scendeva a rete per chiudere il colpo. C’è un filmato su YouTube. Guardare per credere.
Era sbarcato a Toronto a nove mesi, era diventato cittadino canadese, ma non aveva dimenticato Israele. Ricordava praticamente niente di quel posto, ma i racconti che aveva ascoltato in casa lo avevano affascinato. Era andata così anche per le storie sull’ex Unione Sovietica. Denis aveva posto solo per sentimenti positivi.
Non era Born in Usa come il Boss, lui si sentiva cittadino del mondo. Come Bruce sapeva che per realizzare i sogni bisogna lottare.
Occhio all’arbitro, Shapo!
“Don’t stop fighting”, non smettere di combattere. Aveva fatto addirittura scrivere il motto su un braccialetto. I teen agers fanno così.
Servizio costantemente sopra i 200 kmh, bastonate di dritto dentro le righe, smash da far male. E poi, l’arma vincente. Un’accoppiata che ogni tennista dovrebbe avere. Nessuna paura di tentare colpi difficili, al limite dell’impossibile. E una calma assoluta nell’affrontare le situazioni più difficili.
Come quella che si era verificata in un giorno che il ragazzo farà fatica a dimenticare. Era il 6 febbraio dello scorso anno. Si giocava Gran Bretagna vs Canada di Coppa Davis. In campo Shapo contro Kyle Edmund. Il mancino biondo era sotto 36 46 1-2. Un impeto di frustrazione, più che di rabbia, per un colpo sbagliato. E, in una frazione di secondo, il gesto che avrebbe potuto cancellare una carriera e mettere nel mucchio dei folli un giovanotto che fino a quel momento non aveva mai dato segni di arroganza.
Colpo sbagliato, punto perso, botta terribile con la pallina che impatta sul piatto della racchetta e schizza via a velocità supersonica. Voleva lanciarla lontano, sulle tribune, non aveva alcuna cattiva intenzione. Chiunque abbia voglia e tempo può guardare le immagini. Sono sufficientemente chiari- ficatrici della situazione. Ma quella pallina maledetta andava a centrare l’occhio sinistro dell’arbitro Arnoud Gabas che si era fatto davvero male. Provava a bloccare il dolore con il ghiaccio, si faceva aiutare dal medico. Niente da fare.Shapo squalificato, partita finita, punto perso per il Canada. E l’incubo che calava come una nuvola nera sulla testa del diciottenne.
Nervi saldi, scuse, ancora scuse. Spiegazioni accettate a metà. Scuse.
La bufera passava, anche se il ricordo di quei momenti torna fuori ogni volta che il giovanotto ha un minimo gesto di delusione per un colpo riuscito male. Tutti sono pronti a condannare, dimenticando i propri peccati. Lui, comunque, la lezione l’ha capita. Dagli sbagli si impara, se si ha abbastanza intelligenza e umiltà per non cercare scuse.
Un bambino in semifinale
Nell’estate del 2017 sui campi di Montreal, nella Rogers Cup, il mondo scopriva definitivamente il talento di questo biondo dalla faccia d’angelo. Lo scopriva quando eliminava Juan Martin Del Potro al secondo turno, batteva al tie break del terzo Rafa Nadal, metteva via anche Adrian Mannarino e diventava il più giovane semifinalista di un Master 1000.
Era proprio contro il francese che sparava il colpo che avrebbe conquistato i cuori. Shapo era 26 63 3-4 30-0 quando, in recupero, alla fine di uno duro scambio, semigirato con le spalle verso l’avversario, chiedeva aiuto a tutta la forza del suo polso, alle interminabili lezioni con mamma Tessa e alla determinazione infinita e tirava un rovescio che tagliava il campo e spezzava le gambe di Mannarino. Di uno così era impossibile non innamorarsi.
È forse accaduto tutto troppo in fretta. Ma il ragazzo si farà, perché ha la testa forte, non solo il braccio e le gambe. È cresciuto coccolato e stimolato. Ha incrociato gli amici giusti come Felix Auger-Aliassime, cittadino del Quebec, di un anno più giovane. Next Gen anche lui. Ha dormito nel seminterrato della casa di Felix a Montreal durante il torneo del 2017. Lo ha abbracciato, consolato quando è stato costretto al ritiro durante una partita in cui l’allergia di cui soffre non gli aveva dato tregua.
Sogni, dischetti e canestri
Obama dice, ironicamente, che ha scelto di fare il presidente perché non avrebbe mai potuto essere Bruce Springsteen.
Il nostro biondino nei sogni da bambino picchiava il dischetto con il suo bastone da hockey ghiaccio.
Voleva essere il cannoniere dei Toronto Maples nel campionato NHL. O, se proprio fosse stato impossibile, meravigliare il mondo con tiri da tre e schiacciate nelle file dei Toronto Raptors portandoli alla vittoria dell’anello nella NBA. Ma ha scoperto prestissimo il fascino del tennis e quei sogni sono rimasti tali. Irraggiungibili.
Denis Shapovalov ha soltanto 19 anni e ha già sconfitto Nadal, Del Potro, Tsonga, Wawrinka, Kyrgios. È approdato a una semifinale di un Master 1000, ha vinto da junior Wimbledon 2016, sta battendo molti record di precocità, è il numero 1 del Canada e nei Top 30 dell’Atp.
È facile, davanti a tanto talento e ai risultati messi in cascina alla sua giovane età, pensare di avere trovato la risposta ai nostri sogni.
Stiamo cercando qualcuno capace di scatenare la passione, di affascinare con tocchi da artista non solo con mazzate da picchiatore.
Siamo in attesa del talento.
Il tennista Shapo è stato creato usando il calco dei campioni.
Non ci resta che aspettare.
La caccia è appena cominciata.
«Da ora in poi intendo essere spudoratamente felice», dice Hugh Grant in Notthing Hill.
Denis l’ha deciso da tempo.
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