Ormai magro come un’acciuga vegana, il Djoker ritrovato si sta rapidamente assuefacendo alle conquiste troppo a lungo dimenticate. Alza il vaso di Cincinnati, firma il primo Career Golden Masters della storia, e di fatto cambia la griglia di partenza degli Us Open, seminando dubbi sulla strada del quarto Slam stagionale. Sembra opportuno chiedersi, a questo punto, chi sia il favorito degli Us Open, ma l’unico ad avere certezze a riguardo sembra Roger Federer, che non a caso si è definito «orribile» per come ha giocato la finale di Cincy: lui non è più il primo, e non può ritenersi nemmeno il secondo.
È sceso al terzo livello del podio dopo le devastanti conseguenze dello tsunami umano e tecnico che si è abbattuto su di lui nel corso della finale del Western & Southern Open, un altro dei “suoi” tornei (l’altro è Halle, per non dire di Wimbledon) che in questa stagione lo svizzero ha smarrito, seppure nei soliti modi regali di chi non è abituato ad andarsene alla chetichella, ma preferisce farsi sbatacchiare in finale (poi ci resta malissimo e se lo porta dietro per chissà quanto).
Niente, cancelliamo Federer dai favoriti degli Open della prossima settimana. Ma chi mettere al primo posto? La finale di Cincinnati ha cambiato molte cose, e il nuovo titolo che ha portato in dote a Novak Djokovic, il Career Golden Masters, è di quelli che avrebbero fatto gola anche a Federer e Nadal, soprattutto a quest’ultimo che di vittorie nei “1000” ne ha 33, due più del serbo (mentre Federer anche lì, è terzo, con “solo” 27 successi). Che dire, evidentemente Nole ha distribuito meglio i suoi sforzi, oppure, più semplicemente, ha qualità tecniche in grado di supportarlo su qualsiasi tipo di superficie. Quella di Cincy, per esempio, è di cemento, ma tradizionalmente più veloce di altre. Più rapida del cemento canadese, e ancora di più di quello degli Us Open. Finora aveva favorito Federer (7 successi), che quando c’è da liberare i suoi istinti ha spesso avuto la meglio sulla diretta concorrenza, questa volta invece ha visto il serbo appropriarsi del match sin dalle prime battute, facilitato dall’inconcludente scelta tattica di Federer che ha provato a “spaccare” l’avversario (dispiace per Luthi, ma mancava Ljubicic e lo si è visto).
Tattica sanguinosa con un ribattitore come Nole che, fra l’altro, per recuperare se stesso, ha scelto di attestarsi più di una volta sulla linea difensiva, non rinunciando a tirare forte, ma sfrondando il suo tennis di qualsiasi artificio e stravaganza supplementari. Un Nole in formato “magnifico pallettaro”, fatta salva la modernità del suo gioco che non è certo quella dei pallettari ante litteram, i Solomon, i Dibbs, gli Higueras anni Settanta.
La stessa tattica che ha condotto il serbo alla vittoria nella semifinale di Wimbledon con Rafa, che con lodevole spirito di iniziativa giocò meglio di lui, e molto di più avrebbe meritato il successo, smarrito invece nel batti e ribatti imposto da Nole. Il quale, agli Us Open, su un cemento più lento e più agevole potrebbe trovarsi ancor più a suo agio. «Sto vivendo uno dei momenti più belli della mia carriera», ha raccontato Nole, «ed è impensabile viste le difficoltà che ho vissuto fino al torneo di Parigi. Qualcosa è scattato dentro, e sono felice che sia avvenuto. La conquista del Career Golden Masters era una motivazione in più, ma anche un elemento di ulteriore pressione. Ho tenuto a bada queste sensazioni e credo di essere andato in crescendo. La finale contro Federer l’ho giocata davvero alla grande».
Va a lui il ruolo di favorito per l’ultimo Slam della stagione, a Djokovic, che oggi sventola felice la striscia d’oro conquistata nei nove Masters 1000, con 5 vittorie a Indian Wells, 6 a Miami, 2 a Monte-Carlo, 2 a Madrid, 4 a Roma, 4 in Canada, 3 a Shanghai, 4 a Parigi Bercy e ora, finalmente, anche una a Cincinnati. Trentuno titoli per una carriera che promette, da oggi, ulteriori slanci.
E pazienza se alla gente del tennis piaccia da matti porsi domande inutili. L’ultima, dopo Cincy e il Career Masters, è se la conquista di Djokovic sia pari, o magari superiore per valore, ai 20 Slam di Federer. Via, signori, se lo fosse, Djokovic avrebbe vinto i suoi 31 Masters 1000 ma anche 40 o più Slam… Invece ne ha vinti 13, che sono un’infinità, ma non tanti quanti ne hanno vinti Rafa (17) e Roger (appunto, 20). E per venire in soccorso al “povero” Federer (che ne ha bisogno) vale la pena anche ricordare che nei Masters non figurano tornei sull’erba. Altrimenti – altra domanda inutile, forse – quanti ne avrebbe vinti Federer?
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