WTA ‘s-Hertogenobosch: Krunic scaccia i suoi fantasmi, è lei la nuova campionessa

Una finale molto tesa, divenuta col passare dei game estremamente godibile, ha incoronato Aleksandra Krunic prima serba a vincere un titolo WTA da Jelena Jankovic nel 2015. Sconfitta una Kirsten Flipkens da applausi, che ha dato tutto nonostante i dolori alla gamba.

[7] A. Krunic b. K. Flipkens 6-7(0) 7-5 6-1

Una delle ragazze più apprezzate dello spogliatoio femminile oggi è riuscita a spezzare la propria maledizione, l’altra si vede ancora sconfitta all’ultimo atto (è la quarta volta su 5 finali giocate in carriera) ma deve essere fiera di quanto fatto in settimana. Questo è il brevissimo riassunto di una finale, a ‘s-Hertogenbosch, che ha incoronato Aleksandra Krunic campionessa del torneo WTA International locale e ha visto una distrutta Kirsten Flipkens fermata a un passo dalla linea del traguardo.

Quasi in lacrime per il grandissimo sforzo fisico richiesto oggi e dopo i problemi fisici accusati ieri nella finale di doppio persa per ritiro, Flipkens è stata abbracciata a rete da una Krunic che sembrava quasi incurante del proprio risultato. Non c’era più il muro della rete a dividerle, non erano più avversarie, e crollate le barriere la serba l’ha stretta forte a sé per consolarla e lodarla di quanto bene avesse giocato. Sapeva, Krunic, che la finale oggi era a rischio proprio perché Kirsten negli ultimi giorni ha vinto battaglie continue: il 6-2 6-7 6-1 contro Kiki Bertens al secondo turno, poi la maratona in semifinale contro Viktoria Kuzmova (7-5 6-7 6-4 con rientro da 1-4 nel terzo set), più tutte le partite di doppio fino al ritiro di ieri. “Siamo entrambe campionesse, ti rispetto tantissimo per quello che hai fatto, per come hai nascosto il dolore che avevi e per come hai affrontato la partita” le ha detto durante la premiazione.

6-7(0) 7-5 6-1 il punteggio finale di una sfida molto tirata, tesa, a tratti nervosa, ma che più progrediva e più regala colpi ad effetto da parte di entrambe, bravissime interpreti del campo e della superficie nonostante una cercasse di nascondere un problema fisico e l’altra avesse un passato che dimostrava quanto fosse dura, mentalmente, affrontare una partita di questa portata. Krunic, infatti, aveva cominciato il match con tanto nervosismo. Nonostante i tentativi di liberarsi da queste catene, sul 5-4 ha giocato un brutto game alla battuta, non chiudendo alcuni punti comodi e sbagliando gravemente in altri. Al cambio campo sul 5-6 ha chiamato il coach ed è venuto fuori quello che forse è fin qui il suo grande limite: l’enorme negatività che si trascina e che esterna spesso nei modi meno adatti. Oggi la sua allenatrice cercava di parlarle, lei rispondeva: “Non riesco a colpire un dritto fatto bene, non ce la faccio”. Le veniva detto di tranquillizzarsi e cercare di giocare più semplice possibile senza voler uscire dagli scambi con troppa fretta, è stata chiamata “campionessa” (“champ” in inglese, un po’ un modo colloquiale per cercare di scuoterla) e lei replicava “Non lo sono, mi dispiace”, scuotendo la testa. Il tie-break, perso per 7-0, diveniva soltanto una logica conseguenza.

Molto spesso però, nella sua carriera, Krunic ha dovuto combattere contro questi fantasmi. Bravissima a livello junior, grande speranza del tennis serbo, si è smarrita anche a causa di scelte personali poco adatte a quei momenti. La famiglia volle affidarsi a un loro amico che aveva deciso di finanziare completamente l’attività della figlia, procurandole non solo un coach a tempo pieno ma anche un fisioterapista e creare una sorta di team completo a una ragazzina che non aveva neppure 20 anni e navigava ancora negli ITF di basso livello. Invece di crescere, Aleksandra si era adagiata su un livello che non rispecchiava affatto il suo talento, ma di testa lei stessa ammise di aver affrontato partite senza motivazioni a far bene, finché sapeva che le sue spalle erano in qualche modo coperte. Da quando poi è entrata per la prima volta in top-100 (la spinta decisiva è arrivata dopo lo US Open 2014) qualcosa è cominciato a cambiare, ma per altri 3 anni le situazioni negative continuavano a riproporsi. Superata Johanna Konta al primo turno dello US Open dello scorso anno, dopo il buon rendimento degli ultimi 2 mesi, ammise che aveva passato tanto tempo a combattere contro la propria idea di voler essere una perfezionista, che la costringeva quasi a odiarsi se c’era qualche dettaglio che non andava. Ancora questo retaggio del passato viene fuori, ma adesso è lei stessa a reagire.

Infatti, nel secondo set, nonostante lo svantaggio di 4-2 prima e di 5-4 (servizio Flipkens) ha continuato a mostrarsi più propositiva rispetto a quanto accaduto nella prima frazione. La belga era al limite, lei poteva ancora crescere di rendimento. Tre ottimi game e la partita si allungava al terzo set. Qui Flipkens ha presto mollato, cercando di fare qualcosa ma senza più la determinazione necessaria. Il corpo aveva presentato il suo conto e non c’è stato un nuovo miracolo da 1-4 sotto. Krunic, strappato per la seconda volta il servizio alla sua avversaria ha così chiuso senza grandi difficoltà e, a dimostrazione di quanto dicevamo all’inizio sul suo carattere e su quanto sia ben voluta nello spogliatoio, ha contenuto al massimo la sua esultanza piombandosi a rete per consolare una distrutta avversaria, in quel momento diventata così fragile e umana che tutto quello attorno a loro, i trofei, i fotografi, i tifosi, per un attimo era come se non fossero esistiti.

Così è nato il primo trionfo di una ragazza di cui 7 anni fa si parlava un gran bene ma che ha dovuto attendere i 25 anni per trovare il primo sigillo nel circuito maggiore. Un percorso molto più complicato del previsto, ma intanto ha spezzato un digiuno di titoli che la Serbia al femminile viveva da metà ottobre 2015 quando Jelena Jankovic (tra l’altro, grande idolo della stessa Krunic) trionfava a Hong Kong.

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