20 anni di successi: il video tributo del mondo del tennis a Rafa Nadal
10 Giu 2018 20:51 - La parola del Direttore
Nadal e la Grande Madre Terra… Rossa
Sono 11 titoli su 17 Slam, e già siamo oltre la Storia. Nadal ha portato il Roland Garros nella fantascienza. Eppure, lo guardi e non trovi alcun motivo per decretare che questo sarà il trofeo finale di questa avventura.
di Daniele Azzolini
dal nostro inviato a Parigi, Daniele Azzolini
Sono undici titoli su diciassette Slam, e già siamo oltre la Storia. Nadal ha portato il Roland Garros nella fantascienza. Eppure, lo guardi e non trovi alcun motivo per decretare che proprio l’undicesimo appena raggiunto, sarà il trofeo finale di questa avventura. Non vi è riuscito Federer, a batterlo su questa terra. Perché mai avrebbe potuto riuscirvi Dominic Thiem? Badate, è una domanda retorica. La risposta c’è già. È in questa finale quasi senza battaglia, che molto annunciava e pochissimo ha mantenuto. Era il primo assalto di un giovane alla roccaforte dei Fab Four. E Thiem aveva annunciato di avere un piano per sistemare a dovere Rafa. Un piano che nessuno ha capito, e un assalto che si è infranto contro le mura ancora altissime del castello dei Più Forti. Ci riproverà l’austriaco, e prima o poi ce la farà. Ma non fino a quando circolerà a piede libero questo Rafa, talmente lontano e inarrivabile da procurare egli stesso anche l’unico batticuore di una finale scontata, quando sul 2-1 del terzo, e già avanti di un break, si è bloccato sul 30-0 e servizio per chiamare d’urgenza il medico. Un crampo, il giudizio immediato. Localizzato nell’avambraccio e tale da intorpidire tutta la parte, fino alle dita della mano sinistra. Un fastidio che Rafa ha superato continuando a tenere la sua battuta, anzi, procurandosi un secondo break che ha chiuso definitivamente la partita.
Ci sarà il dodicesimo trofeo, perché no? Certo che ci sarà. E poi il tredicesimo, e chissà quanto ancora Rafa potrà andare avanti. Finché lo vorrà, probabilmente, e allora è più facile chiedersi se e quanto ancora lo vorrà. Lui dice di non vedersi trentasettenne ancora sul campo, non ha alcuna intenzione di inseguire Federer sulla strada della longevità come primato sportivo, né ritiene di essere in possesso di formule magiche, di un elisir di lunga vita, o di lungo tennis. «Dovrò mettere su famiglia, prima o poi. Se penso ai miei trentasette anni, mi vedo ancora numero uno del mondo, ma nella pesca al bollentino».
Ma Rafa va oltre. Produce ormai un effetto ipnotico, fa da ansiolitico alle inquietudini del tennis moderno. Ha il sapore delle buone cose di una volta. È la undicesima replica di un monologo che figura ormai fra le piece sportive più conosciute e premiate. È Rafa il baricentro del tennis sul mattone. Tredici anni dopo la sua prima apparizione, continua a rappresentare l’approdo ideale del tennis su terra rossa, il perfetto insieme di destrezza e forza di volontà, il campione esatto per queste terre più pesanti che altrove, ma tali da rassicurarlo, da farlo sentire avvolto nel grembo materno.