Sasnovich: “Noi tennisti siamo strani. Chi non lo è, lo è ancora di più”

Intervista (esclusiva) alla bielorussa dopo la vittoria contro Kristina Mladenovic: "La Fed Cup mi ha cambiata. Da piccola mi allenavo con 20 bambini, ero l'unica che non voleva diventare professionista".

Come è stato il match? A giudicare dalla faccia che avevi il tempo deve averti condizionato pesantemente.
“Sì davvero. Match durissimo, al di là del caldo come temperatura (ci saranno stati 35 gradi, nda) c’era anche un’umidità che rendeva tutto molto più difficile. Il primo set è stato terribile da parte mia: 6-1 e tutto troppo veloce, poi ho cominciato a giocare meglio, ma anche nel terzo non era semplice trovare chi avrebbe vinto la partita”.

Nel 2017 hai giocato 25 partite arrivate al terzo set, vincendone 16.
“Sono una lottatrice, c’mon!”
Ti senti davvero una lottatrice?
“Penso solo a giocare e a divertirmi in ogni partita. Amo questo sport e sono in una buona condizione fisica. Oggi penso di aver giocato il terzo set meglio degli altri due, nonostante non ci fosse aria. Avevo più forza e più energia. E dire che quando ero piccola non mi divertivo a giocare partite al terzo, erano una fatica fisica e mentale. Quando giocavo partite al terzo pensavo: oh Dio, e ora? cosa succede se perdo? cosa succede se non riesco a farcela? Pensavo tanto, ma ora non più. Mi diverto e stop”.

In campo sembri anche piuttosto concentrata, senza perderti in gesti di stizza quando magari le cose non vanno bene.
“È vero, anche se talvolta faccio qualcosa per svegliarmi come oggi, quando ad un certo punto ho preso la bottiglia d’acqua e me ne sono rovesciata un po’ sulla testa. L’ho fatto tre volte, mi dicevo: “Dai Sasha, dai! Svegliati! Stai perdendo!”. Sono convinta sia tutto girato da lì”.

Pensi che la tua crescita nel circuito WTA stia passando anche dalle grandi prove che hai fatto in Fed Cup?
“Adoro la Fed Cup. Quando senti pressione è qualcosa di magnifico. Pressione più pressione per me è come niente. Per esempio, quello che ho sentito. Nel 2015 eravamo… Non ricordo neppure dove eravamo, ma Vika Azarenka e Olga Govortsova ci hanno dato una mano fondamentale a superare il gruppo 1. Abbiamo vinto in Ungheria, nel gruppo 1, poi abbiamo battuto Canada, Olanda, Polonia, Svizzera poi sfidando gli Stati Uniti in finale. Nessuno credeva in noi prima di adesso e sui cartelloni luminosi dello stadio di Minsk c’erano le percentuali di vittoria che i fan ci davano: 3%. Bielorussia 3% e USA 97%. Questo prima del giorno 1 e alla fine è finita 3-2 per loro, partita durissima, in doppio abbiamo avuto chance di fare bene. Forse eravamo ancora troppo giovani per il titolo, ma tutto questo percorso mi ha aiutato tanto a credere in me stessa”.

Hai l’idea che tu e Aryna Sabalenka in qualche modo vi completiate? Lei è molto potente, aggressiva, tu invece sei più tranquilla, paziente.
“Penso che io e lei siamo persone completamente diverse. Qualcosa come rosso e blu. Eppure amo giocare con lei, ho giocato talvolta il doppio e mi sono trovata benissimo. Sento tantissima energia e sento che lei possa darne a sua volta. Ci supportiamo l’un l’altra e questo per me è bellissimo”.

Quanto è stato importante fare quel risultato?
“Già dopo la semifinale contro la Svizzera c’è stato un improvviso aumento di bambini che volevano giocare a tennis. I giornali fecero un giro nelle scuole locali e i bambini che dicevano “voglio diventare come Sasnovich, voglio diventare come Sabalenka”. Bambini che chiedevano ai genitori di avere una racchetta per andare a giocare”.

Tu come hai iniziato?
“Avevo 9 anni quando ho preso la mia prima lezione di tennis, prima facevo taekwondo, ero cintura verde. Avevo cominciato a giocare così, senza alcuna pretesa. Il mio allenatore mi considera niente più che una giocatrice di livello amatoriale. Non mi dispiaceva, non avevo mica idea di diventare professionista. Ed ora eccomi qua. Nel nostro gruppo eravamo in 20, tutti a dire che volevano diventare professionisti, poi l’unica a riuscirci è anche quella che neppure all’inizio lo voleva.  A 12 facevo il primo torneo, in Russia, con una finale in doppio. Lì mi son detta: “Vogliamo davvero la carriera da professionistica? Dai, proviamoci””.

Tornando alla Fed Cup, come avete reagito, come squadra, all’assenza di Azarenka?
“Son sincera, non c’ho pensato più di tanto. La nostra squadra era fortissima già così. Oltre a me c’era Sabalenka, c’era Vera Lapko che è una delle giovani più forti al mondo. Lidzia Marova, che è ottima doppista. La squadra andava benissimo così, giovane e forte. Con Victoria avremmo chiaramente trovato un valore in più molto importante: è la più famosa, è stata numero 1, è fortissima. Sono stata triste, questo sì, e lo sono ancora se penso a lei: sta attraversando momenti durissimi ora e voglio davvero che tutto questo finisca in fretta”.

Hai provato a contattarla prima della finale?
“Ci ha contattato lei con un video di supporto dove ci spronava a dare il massimo e ci diceva che eravamo forti, coraggiose, che potevamo farcela. Lo abbiamo guardato tutti assieme, è stato emozionante”.

Il tuo allenatore è sempre Igor Svetlakov?
“È lui sì. È tra l’altro il primo allenatore che abbia mai avuto. Ho lavorato con lui da quando avevo 9 anni a quando ne avevo 14, poi da quando ne avevo 18 a quando ne avevo 20 e poi da 21 a 23. Dopo la seconda volta avevo fatto una promessa a me stessa e a mia mamma: “Mai più, basta con lui”. Siamo tornati insieme perché col tempo ho capito che è la persona migliore perché alla fine è quello che mi conosce meglio di tutti e non deve sapere più nulla di me e del mio carattere. Non ho molte amiche, solo 2-3 vere, ma non riesco a lasciarle. Questa è come sono fatta. E poi, insomma: tutti i giocatori di tennis sono strani. Se non lo sei, sei ancor di più strano”.

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