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Il tennis “Sottosopra:” le nuove regole e il rischio Stranger Things

Vi ricordate l’ingenuità e l’entusiasmo di quando avete per la prima volta conosciuto il tennis?Pensate a quello che più vi ha affascinato: lo so, è un compito arduo, perché quello che ci affascina difficilmente è del tutto riconducibile ad una spiegazione razionale, però ci si può provare:

  • Il gesto tecnico: d’altronde diciamocelo, il gesto sportivo nel suo risultato in azione è la cosa che più attira l’attenzione, lo sguardo.
  • Le regole: il volere capirle nella loro illogicità (le regole tennistiche hanno una storia ma non una logica aritmetica), metterle insieme, d’improvviso conoscerle tutte senza pensarci troppo.
  • L’ambientazione: sempre diversa con superfici, luoghi, condizioni.
  • La tradizione: pensiamo a Wimbledon e alla sua storia, ai vari e piccoli riti che da sempre si perpetuano.
  • I campioni: ovviamente senza i giocatori e la leggenda che si portano dietro, il fascino sarebbe di gran lunga minore.

È una realtà che è sempre stata lì e che abbiamo toccato con mano, che ancora oggi appuriamo sebbene ci si ritrovi talvolta persi tra orari televisivi che si accavallano, nuove evoluzioni, innovazioni per le quali facciamo naturale resistenza.

È l’oscurità del mostro ombra che dà origine ai demogorgoni, che oggi impazzano sui nostri schermi grazie a Netflix e a Stranger Things che minaccia quell’ingenuità, quell’entusiasmo quasi infantile rappresentato da Dustin, Mike, Will e un’infanzia, un’adolescenza passata a raccogliere certezze e basi sulle quali sviluppare una passione.

Tutti nel Sottosopra (che è una dimensione sovrapposta) sono lo specchio peggiore di quello che viviamo: Il Semipiano è speculare al nostro mondo, ma più buio, cupo, composto da un insieme di echi e di riflessi della realtà in cui viviamo.

È un posto pericoloso, oscuro, decadente ma non necessariamente malvagio (esattamente come le innovazioni), anche se le creature che lo abitano non si possono certo definire ben disposte nei confronti degli umani.

La prossima settimana a Milano si darà il via a un nuovo torneo, con un’idea tutto sommato apprezzabile, atta a dar più visibilità e spazio ai giovani, le Next Gen Finals: un torneo, chiariamo, di seconda fascia, la rinuncia di Sascha Zverev, il numero 1 della cosiddetta “Next Gen” parla chiaro; se ci si qualifica anche per le World Tour Finals, un cordiale grazie e benservito a Milano. Anche per il fatto di essere una novità, l’ATP ha deciso di far scontare a Milano lo sfogo di tutte gli esperimenti di cui da tempo si parla nell’ambiente: esperimenti che vogliono le TV, gli sponsor, chi insomma ha interessi danarosi attorno al tennis e chi deve fruirne in maniera non approfondita, mainstream , di chi deve consumare un prodotto già confezionato a dovere: niente vantaggi nel game, set brevi al meglio dei cinque, la totale ininfluenza del let, la libertà di muoversi in tribuna (roba che a Wimbledon ti prendono per i capelli e ti sbatto fuori dal quartiere proprio). Una vera e propria rivoluzione per capire cosa c’è oltre a quello che già conosciamo: una porta aperta, il GATE aperto da Eleven che scatena i demogorgoni e ci fa paura, soprattutto la possibile degenerazione di ciò. Le domande che ci pone sono quasi infinite.

Cosa ne sarà del servizio? Il colpo, l’unico colpo che il tennista può controllare senza dover reagire al colpo dell’avversario e che vedrà totalmente preda di possibili deviazioni decisive esattamente come per dritto e rovescio?

La concentrazione che va a farsi benedire perché PRIMA IL CLIENTE, PRIMA IL PUBBLICO CHE DEVE ANDARE IN BAGNO E MANGIARE rispetto al gioco?
Le regole, che pensavi di conoscere e che ti hanno accompagnato, stravolte per amor di visibilità e fruibilità.

È solo il 2017 ma una porta aperta rimane una possibilità di conquista: ci potrebbero essere punti ridotti a 3 scambi per necessaria velocità del gioco esattamente come alberi secchi e larve sostituiscono querce e fiori, una risposta che deve giocarsi per forza dall’altra parte del campo: immaginate Nadal costretto, nel 2030, a non doversi poter sistemarsi le bottigliette o Federer a cui impediscono di provare vincenti nel gioco decisivo per garantire una maggiore incertezza del risultato.
Si parla per paradossi ed esagerazioni, naturalmente: l’Upside Down, però, non è escluso. La tradizione può essere stantia, è vero, può emanare cattivo odore di chiuso dopo un po’, apparire finta quasi quanto una Contea Hobbit; le innovazioni-demogorgoni, però, diventano pericolose se lasci porte troppo aperte. Che Eleven ci salvi.

Rossana Capobianco

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Rossana Capobianco

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