Non è la Davis, ma ai tennisti piace così. La Laver Cup al debutto non ha cercato confronti diretti con la Coppa più antica e famosa del tennis. Non ce ne sarebbe stato motivo. L’evento non è nato per affossare la Davis, e ha alle spalle due sostenitori che non potrebbero nemmeno permetterselo, Tennis Australia e la statunitense USTA.
L’organizzazione della Team8 ha semplicemente lasciato che il tennis fluisse vigoroso, sul tappeto indoor della O2 Arena, che il pubblico fosse contento e i tennisti recitassero bene la loro parte, cosa che certo non escludeva partite vere e combattute. Ma dalle tre giornate qualcosa è uscito fuori, qualcosa che può avere importanza per il tennis e anche per la vecchia Saladier. I tennisti, quelli più forti di sicuro, la finale di Davis la vogliono così.
Un raggruppamento di squadre, partite più corte, tanti soldi in palio (per loro, non per le federazioni), organizzazione impeccabile, comunicazione svolta ad altissimi livelli (le foto più belle, i video addirittura impeccabili), e una piazza dove il tennis sia atteso da tempo, e dove il pubblico si senta davvero coinvolto nell’evento. Non c’è un pronunciamento preciso da parte dei giocatori, ma l’aria che si è respirata in queste giornate di Praga, a queste conclusioni direttamente portava.
Attenzione, non ho intenzione di discutere qui se sia giusto o sbagliato il punto di vista dei tennisti, né se la Davis nella sua versione datata ormai 117 anni, sia ancora l’evento più straordinario del tennis, come ci dicono e ci vogliono far credere. Sappiamo bene, però, che in Coppa i campioni ci vanno ormai con il contagocce. Ora sappiamo anche che cosa vogliono.
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