L’edizione di Wimbledon post-olimpiadi viene ricordata certo per la sospirata vittoria di Andy Murray che tolse finalmente le ragnatele dall’ultimo titolo di un inglese sul Centre Court, quello di Frederick John Perry nel 1936. Ma chissà, senza la morìa inaspettata che si ebbe al secondo turno forse l’erede avrebbe dovuto attendere ancora.
A prima vista sembra uno sconquasso epocale ma a ben guardare somiglia più ad un cimitero degli elefanti. Il 26 giugno 2013 è un mercoledì e quel giorno i leoni furono diversi dal solito.
Sette ex numero uno del mondo vennero sbattuti fuori dal torneo senza troppi complimenti. Di questi solo due avrebbero realmente potuto dire la loro ma quell’anno non erano in forma.
Il crak più rumoroso fu, ça va sans dire, la sconfitta del campione in carica Roger Federer contro l’ucraino Stakhovsky in quattro set, tre dei quali finiti al tie break. In quel match lo svizzero in versione Amleto non riuscì mai a dominare il gioco come lui stesso si aspettava. Inesistente in risposta e nei passanti, subì incredibilmente l’aggressività dell’avversario che infilò tre set consecutivi dopo aver perso il primo. Siamo sicuri che fu quella la proverbiale goccia che convinse il re a cambiare racchetta. Il guaio per gli altri è che lo ha fatto…
Poco meno colpì la disfatta in due set secchi patita dalla allora terza favorita Maria Sharapova contro la portoghese Michelle Larcher de Brito, come lei proveniente dalla Academy di Bollettieri – se ancora può dirsi un vanto – e in grado quel giorno di surclassare l’algida Maria anche nei decibel emessi ad ogni colpo. Dopo quella sconfitta la russa perse tutta la seconda parte della stagione per guai all’anca e alla spalla.
Le restanti cinque sconfitte coinvolsero quattro tenniste che sono state numero uno solo fra i freddi circuiti di un computer ma mai realmente sul campo, eccettuata forse Vika Azarenka che concesse un w/o a Flavia Pennetta. Ivanovic, Jankovic e Wozniacki, in rigoroso ordine alfabetico perché altro non ne troviamo, uscirono in silenzio dal torneo e dalla lotta al primato senza aver vinto neanche un set rispettivamente contro Bouchard, Dolonc e Cetkovska. Due sconosciute e una che fa di tutto per tornarlo.
Ultimo per nostro affetto personale lasciamo Lleyton Hewitt da Adelaide, autore della magica accoppiata New York 2001 / Londra 2002 di pura carica emotiva. L’australiano aveva trentadue anni, neanche troppi se non li avesse passati a logorarsi fra scambi infiniti e urla selvagge e cedette a Dustin Brown. Uno che sembra sempre l’uomo più felice del mondo. Lo vedi e sembra Peter Tosh, poi scopri che è tedesco, vive in un camper e gioca a tennis come nessuno.
E se avesse ragione lui?
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