Prima o poi, purtroppo, il tennis cambierà. Il “purtroppo” non vuole allarmare i lettori ma sembra d’obbligo se ci si affaccia dai palazzi del tennis e, vedendo scorrazzare in cortile Federer e Nadal, ci si rende conto che non sarà per sempre. Lo svizzero va per i 36, lo spagnolo per i 31. Giocheranno ancora, certo, ma non in eterno. Che farà il tennis a quel punto? Verrà colto di sorpresa? Sarà preparato e incasserà il colpo? Proviamo ad analizzare la situazione da una prospettiva un po’ particolare, quella del loro sponsor.
Inutile dire che quando scende in campo il Fedal – siamo stati invasi da questa parola durante gli ultimi Australian Open – scende in campo Nike. Quest’anno poi lo swoosh ha fatto parlare di sé: quella t-shirt di Federer non era andata a genio ai fans perché “troppo aggressiva”, ma una volta alzato il “diciottesimo” e i primi due Master 1000 della stagione è entrata inevitabilmente nella storia. E Nike, non una, ma tre volte in più, aveva ragione!
Il marchio americano classe ’71 ci ha abituato a linee innovative, capacità di investimento, trovate pubblicitarie inimitabili e fiuto per i campioni quando ancora ragazzini: Michael Jordan, Ronaldo, Tiger Woods, Kobe Bryant, Rafael Nadal, Roger Federer. Non c’è una logica spazio-temporale nei nomi appena citati, sono solo alcuni degli sportivi più influenti di tutti i tempi. Nike domina il tennis: oltre al Fedal c’è Serena Williams. Lì siamo a 23 Slam e la voglia di raggiungere e superare i 24 di Margaret Court. Ma poi anche lei dovrà fare i conti col tempo, che la scrittrice Jennifer Egan – come dargli torto – definisce un “bastardo”. E lei ha vinto il Pulitzer, non può essere completamente fuori strada.
Perché cercare di vedere con gli occhi di Nike? Perché punta sul futuro, cerca il numero uno. Fra cinque anni chi lotterà per il vertice della classifica? Chi avrà il baffo cucito sul petto? Se è vero che Nike veste i campioni è anche vero che quei campioni ci devono essere: quando Jordan appese le sue “Jordan” al chiodo – soltanto le sue però, perché la linea “Jordan” è divenuta poi un marchio globale – il baffo firmò un contratto con Kobe Bryant strappandolo ad Adidas, tutt’ora uno dei principali concorrenti. Oggi anche Kobe ha lasciato il basket e ha passato il testimone a LeBron James. Nel basket come nel calcio assistiamo a un ricambio continuo, ma nel tennis? Cosa succederà nel tennis?
I principali testimonial attuali, oltre ai tre sopra elencati sono: Nick Kyrgios, Grigor Dimitrov, Jack Sock, Juan Martin Del Potro, Genie Bouchard, Madison Keys e Victoria Azarenka. Ci sarebbe anche Maria Sharapova ma torneremo a prenderla in considerazione quando sarà di nuovo in campo. Bene, sono tutti giocatori forti ma saranno davvero in grado di dominare il tennis? Forse Grigor Dimitrov è in grado di sostenere questo fardello: bello da vedere, completo tecnicamente, in proiezione capace di vincere dovunque. DelPo ha vinto Flushing Meadows nel 2009 battendo Federer in una finale quasi persa poi si è smarrito negli infortuni al polso che ancora lo assillano. Ha ventinove anni, ha condotto l’Argentina alla vittoria della Davis, si è operato e tornato di nuovo. E Nick Kyrgios? Beh, Nick è un personaggio mica male: estro e sregolatezza – genio sarebbe esagerato – ma troverà la continuità necessaria per vincere ancora e ancora? Semmai vincerà la prima volta. È stato protagonista di un grande inizio di stagione e di una delle partite di tennis – la semifinale a Miami contro Federer – più belle che il circuito ricordi. I presupporti ci sono, ci sono sempre stati e molti degli appassionati ripongono in lui le proprie speranze. Tra le ragazze Vika Azarenka ha già vinto, la Bouchard sta cercando di uscire da un periodo sempre più nero nonostante abbia appena ventitre anni, le altre sono giovani: veramente saranno in grado di sedere a lungo sulla vetta?
In ogni caso Nike punta al dominio, al personaggio che travalica il risultato. E con Federer e Nadal si è andati ben oltre: due campioni, antagonisti perfetti, un equilibrio che dura un decennio e regala gioie e dolori, divide i loro tifosi ma li unisce in un unico pensiero: “stiamo vivendo un periodo d’oro del nostro magnifico sport”. La responsabilità di Nike in questo? Nessuna virgola uno.
Nike era sempre lì: 37 scontri diretti, 32 trofei Slam totali, circa un decennio tra le prime due posizioni del ranking. Grande è la capacità di “scouting” che prende forma in quelle figure che dicono ai vertici cose del tipo: “ho visto un ragazzino svizzero, talento naturale, io ci butterei un occhio” e ricevono risposte come: “il ragazzino è forte, lo mettiamo sotto contratto”. Da quel momento Roger Federer vestì Nike. Questo era il “prequel”, poi c’è film vero e proprio: Federer è elegante e veste elegante; Rafa è aggressivo e veste aggressivo. Federer torna dopo uno stop dovrà essere notato; Rafa è cambiato rispetto ai diciott’anni fatti di canottiere fosforescenti e vestirà più sobrio. I capi “RF” e quelli col “torello spagnolo” vanno a ruba e Nike, stona dirlo ma è necessario, incassa milioni e milioni di euro.
Lo sponsor riveste un ruolo fondamentale nella creazione del personaggio e lo swoosh, da qualche decennio, trova ciò che il giocatore nasconde e lo mostra al mondo sportivo. Avanziamo una provocazione: se non avesse cambiato tre sponsor, l’immagine di Djokovic sarebbe stata la stessa? Prima Adidas, poi Sergio Tacchini, ora Uniqlo. Adidas forse non credeva che Nole si sarebbe trasformato in “Djoker”, Sergio Tacchini ha rappresentato una bellissima parentesi e ha accompagnato il serbo in molte vittorie. Poi è arrivata Uniqlo, colosso mondiale che ha deciso di investire, certamente con grande successo, nel tennis. Il problema, infatti, non è del marchio, è del giocatore. Il serbo ce la mette tutta a conquistare i fan, ma lo sponsor quanto lo aiuta? Ci sono spot divertenti che lo vedono protagonista? E soprattutto, quanti appassionati scendono in campo la domenica con materiale Uniqlo? Nessuno? Dodici in tutta Italia? Pochissimi, e il motivo è talmente semplice che lascia stupiti: perché quel materiale non lo conoscono bene, non lo si può nemmeno comprare se non sul sito ufficiale del brand. Oggi, forse, questa rappresenta una chiusura eccessiva considerando che ci sono decine di negozi che propongono offerte su offerte e che attirano, giustamente, gli appassionati verso i prodotti e i giocatori che li vestono. Uno spot Nike di vent’anni fa recitava “dove finisce l’atleta e comincia il suo abbigliamento?” Nike fa combattere Federer in casa sua contro una mosca, inventa un incontro tra Nadal e Cristiano Ronaldo, organizza delle esibizioni “fluorescenti”. Ecco il punto dopo la virgola.
Ma quelle esibizioni funzionano quando in campo ci sono i più forti giocatori del mondo e non solo, quei giocatori che incarnano lo sport e che sono a tutti gli effetti degli idoli. Ora Roger, Serena e Rafa sono cresciuti e fra qualche anno, inevitabilmente, lasceranno il tennis giocato. Nike, a quel punto, che si inventerà? Di certo la paura che quei milioni e milioni di euro diminuiscano è palpabile. Ma forse la strategia già è stata pensata o addirittura già è in atto. Certamente manterrà “RF” e “torello”, l’innovazione nella linea e nei materiali ha sempre rappresentato un punto di forza e lo rimarrà, il problema è la “pubblicità spontanea” che viene a mancare: non ci saranno più “top match” ad alimentare le casse: in questo inizio 2017, mentre ogni appassionato assisteva incredulo a ciò che fino a poco tempo fa era una costante – parliamo del “Fedal” – le vendite salivano, una volta ancora, alle stelle. Non stiamo scommettendo sul fallimento di Nike, ovvio (considerando che nel solo 2015 ha fatturato 30,601 miliardi di dollari), ma ragioniamo sulle evetuali mosse per arginare le perdite economiche e in termini di prestigio.
Inutile dire che Nike non punterà su Djokovic e Murray, anche loro già trentenni e ben ancorati ad altri brand: peraltro lo scozzese veste Under Armour – forse Adidas non credeva nemmeno che Andy sarebbe diventato il numero uno del mondo – marchio che negli USA vanta cifre al pari di Nike. Il tennis sembra destinato a vivere un periodo senza padroni e per Nike, che ha dimostrato, sempre, di volerlo essere, si mette maluccio. Inoltre alcuni dei campioni di domani, Zverev junior e Dominic Thiem, vestono Adidas e, se il marchio non deciderà di puntare altrove prima che lo diventino, sarà difficile che Nike riesca a cucirgli lo swoosh. Forse personalizzerà sempre di più i “suoi” tennisti, forse tirerà fuori un “GD” vicino al baffo di Grigor Dimitrov, che dovrà vincere, tiferà Nick Kyrgios sperando nel boom definitivo che lo trasformi da “bad boy” a “number one”, vestirà le ragazze aspettando un exploit ma forse il suo pensiero non è poi così diverso da quello di ogni appassionato: spera nel campione che emoziona, che vince, che perde e fa soffrire, cerca qualcuno che riesca almeno un po’ a colmare il vuoto frastornato al quale il nostro sport sta andando incontro. La differenza tra Nike e gli altri? Semplice. Nike, quel qualcuno dovrà scovarlo prima di tutti. Ma chissà, magari lo ha già trovato.
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