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E ora Federer sogna la Restaurazione

E adesso quella folle idea appare un po’ meno astrusa. Difficile, azzardata, ma sicuramente molto più razionale rispetto a quanto non lo fosse due mesi e mezzo fa, quando Roger Federer rientrava alla Hopman Cup dopo sei mesi di assenza tastando il terreno per un Australian Open che sembrava dover essere la solita questione a due tra Murray e Djokovic. Sono bastati due mesi e il mondo si è capovolto, Federer si è preso prima Melbourne e poi Indian Wells, una doppietta che gli mancava da undici anni, ha spazzato via ogni logica e fatto tornare di moda l’ormai abusato slogan “impossible is nothing”, cavallo di battaglia di una famosa azienda di cui non serve nemmeno citare il nome. E se c’è qualcuno che può rendere possibile l’impossibile, quel qualcuno è Roger Federer, a cui forse inizia a solleticare un pensiero messo in un cassetto perché apparentemente ormai proibito: tornare a essere il più forte di tutti, il numero 1 del mondo.

Sono passati quasi quattro anni e mezzo dalla fine dell’ultimo breve regno svizzero, cominciato con la vittoria ai Championships 2012 e terminato l’autunno successivo con la rinuncia a difendere il titolo a Bercy: diciassette settimane, dal 9 luglio al 4 novembre, abbastanza per scavalcare Sampras, diventare primatista assoluto e frantumare il muro delle trecento settimane. Da allora si sono succeduti in vetta Djokovic, Nadal, di nuovo Nole e infine Murray, con Federer che solo nel 2014 ha chiuso a una distanza inferiore ai 2.000 punti dal primo in classifica. Dopo la vittoria a Indian Wells lo svizzero è salito al sesto posto con 4.305 punti, lontano 7.700 lunghezze dalla vetta. Distanza ancora molto ampia è vero, ma simile a quella che Murray accusava da Djokovic al termine dell’ultimo Roland Garros e in pochi mesi tutto si è ribaltato. In più ci sono due motivi per i quali il campione degli Australian Open 2017 può pensare davvero in grande.

Per prima cosa, a differenza dei suoi diretti rivali, deve difendere pochissimi punti da qui a fine anno, visto l’esiguo numero di tornei disputati nel 2016: ne ha raccolti 270 tra Monte Carlo e Roma mentre in estate scade l’unica vera “cambiale” pesante, i 990 punti del trittico Stoccarda-Halle-Wimbledon. Per il resto potrà solo incrementare il suo punteggio, al contrario di Murray e Djokovic. Lo scozzese deve difendere otto titoli più altre tre finali, il serbo ha fatto piazza pulita fino al giugno scorso ma anche nella seconda parte di stagione, seppur con tante ombre, ha messo in tasca quasi 4.000 punti tra Canada, US Open, Shanghai, Bercy e ATP Finals. Sembrano tagliati fuori i vari Wawrinka, Nishikori, Raonic e anche lo stesso Nadal, a cui al momento preme più tornare a essere re sulla sua amata terra battuta.

C’è poi il secondo aspetto, quello che vede Federer in una condizione psicofisica da extraterrestre: il nuovo rovescio “Made in Ljubicic” ha portato con sé un’aura di onnipotenza da “Super Saiyan God”, inoltre la vittoria in Australia, arrivata in circostanze mai viste prima – battendo Nadal in finale, al quinto set, recuperando un break di svantaggio, da indiscusso dominatore di quella maledetta diagonale sinistra – lo ha liberato da ogni possibile freno inibitore. Federer gioca con la mente totalmente sgombra, a braccio sciolto e il risultato è quello di essere tornati ai fasti del 2004 o del 2006, senza nemmeno aver bisogno di una macchina del tempo. E se Roger gongola, Andy e Nole stentano per motivi diversi: il primo conferma di non saper essere cannibale quanto gli altri Fab 4 mostrandosi più vulnerabile dei suoi predecessori; il secondo è sempre più in crisi e probabilmente con la testa rivolta a questioni ben più importanti del tennis.

Ma quanti punti sono necessari per ambire al primo posto del ranking? Dal 2009 a oggi, da quando è entrato in vigore l’attuale sistema di punteggio, solo in due occasioni il numero 1 ha chiuso l’anno con meno di 12.000 punti in classifica: proprio nel 2009, con lo stesso Federer a guidare il gruppo con “appena” 10.550 punti, e nel 2014, l’anno dei quattro campioni Slam diversi. Entrando nel dettaglio, Federer dovrà giocoforza arrivare in fondo a tutti i tornei che disputerà, limitando i danni sulla terra – difficile vederlo a Monte Carlo, probabile che scelga solo uno tra Madrid e Roma in ottica Parigi – puntando a confermarsi in quelli che storicamente sono i suoi feudi – Halle, Basilea, Cincinnati, le Finals di Londra – e, requisito indispensabile, arrivando in fondo a Wimbledon e US Open: solo così potrà contare su un bottino minimo affinché il “progetto Restaurazione” possa davvero prendere forma e c’è da scommetterci, Federer ci sta già pensando.

Piero Vassallo

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