Ha fatto un certo effetto rivedere Federer in campo a Dubai, a un mese dal suo trionfo australiano. Da una parte ci è mancato, eccome. Perché il tennis, questo tennis, senza di lui semplicemente non è tennis. E ce ne siamo accorti durante quegli interminabili sei mesi di fine 2016, quando il fuoriclasse svizzero ha per la prima volta in carriera marcato visita e s’è dovuto allontanare forzatamente dal circuito. Ma rovesciando l’ottica, e osservando le immagini provenienti dagli Emirati, è sembrato in un certo senso che quest’ultimo mese non fosse neanche trascorso. Roger si muoveva come a Melbourne, tirava schiaffoni di rovescio come a Melbourne, incantava come a Melbourne. Ed era vestito esattamente come a Melbourne! Insomma, sembrava di essere ancora in Australia.
Ma soprattutto, vedendolo vestito ancora così, sembrava che anche lui con la testa fosse ancora in Australia. Che quel trofeo – l’amico Norman – così inaspettato e così a lungo atteso, fosse diverso da tutti gli altri.
Non sottovalutateci, non siamo così naif. Sappiamo benissimo che per lui e il suo marchio vestire il completo del 18° titolo Slam garantisca un sicuro ritorno economico. Tanto più che il logo RF è un marchio registrato sul quale Federer incamera qualcosa come il 50% del fatturato. Ma questa volta ha vinto il nostro lato romantico. Ci piace immaginare (e chissà che non sia proprio così) che in caso di sconfitta contro Jurgen Melzer al primo turno dell’Australian Open quel completo non l’avremmo più visto. E allo stesso modo, immaginiamo Roger coricarsi la sera sul letto – sotto lo sguardo perplesso di Mirka – con quella maglietta ancora addosso, quasi fosse diventata una seconda pelle.
Ma la storia del tennis è piena zeppa di magliette famose. Di campioni che, ancora oggi, identifichiamo esattamente con quella maglietta e solo quella. A Panatta e alla sua maglietta rossa, ad esempio, sono stati dedicati film e libri. La storia è nota, è la famosa maglietta della ribellione contro il dittatore cileno Pinochet, esibita appunto a Santiago del Cile in occasione della finale di Coppa Davis del 1976.
Altro giro, altra maglietta. Chi non ricorda i mitici rombi di Ivan Lendl nei primissimi anni ’80? Per anni abbiamo identificato l’ex campione ceco con quell’inconfondibile completino, finché non ce lo siamo ritrovato di colpo vestito come un legionario!
Altra maglietta assolutamente iconica e che ci fa anche spuntare la lacrimuccia (per motivi nazionalistici e non solo) è quella indossata da John McEnroe nel suo primo trionfo a Wimbledon. In quegli anni, in realtà, Supermac vestiva anche un’altra maglietta (ovviamente dello stesso marchio) divenuta famosissima, tanto che ancora oggi è quasi praticamente impossibile ricordarlo abbigliato in modo diverso.
Forse sono in meno quelli che ricordano che, nella prima parte delle loro carriere carriere, anche Pete Sampras e Novak Djokovic vestivano lo stesso marchio…
Rafa Nadal fece scalpore (e trend) ad inizio carriera con le sue famose canottiere, anche se sarebbe forse più esatto definirle come magliette smanicate.
Assolutamente indimenticabile anche la famosa maglietta a striscioline verticali di Bjorn Borg. Alzi la mano chi non identifica immediatamente l’Orso svedese con quella che sul finire degli anni ’70 era LA maglietta!
Ma non di sole magliette si nutre l’uomo (e il tennista). Così, anche alcuni pantaloncini hanno assolutamente fatto la storia. Per un certo periodo degli anni ’70 proprio Borg indossò dei pantaloncini a quadri che fecero furore in quegli anni ed epoca in quelli successivi.
La seconda metà degli anni ’80 fu letteralmente sconvolta dal look di André Agassi e dai suoi celebri pantaloncini di jeans. Mentre nel 2004 fece irruzione Rafa Nadal con i suoi celebri pinocchietti.
Ma, per chiudere questa carrellata, i pantaloncini che più amiamo, quelli che più di tutti ci sono rimasti nel cuore e ci hanno fatto sognare: ladies and gentlemen, please welcome Mr. Stan Wawrinka!
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