Vandeweghe, il segreto è nella famiglia

Nonno e zio nella NBA, nonna eletta Miss America nel 1952, mamma nuotatrice e pallavolista olimpionica, fratello pallavolista. Anche CoCo Vandeweghe, prima o poi, doveva vivere momenti speciali.

Testa alta, sguardo un po’ spavaldo. Colleen Vandeweghe, per tutti da sempre semplicemente “CoCo”, a 25 anni ha raggiunto il primo traguardo di spessore nella carriera migliorando il quarto di finale di Wimbledon 2015 con 10 giorni impeccabili a Melbourne Park. E non è finita, perché tra 2 giorni sarà di nuovo in campo contro Venus Williams per allungare quello che sembra per tutti un sogno. Non per lei, però, che in conferenza stampa fin qui non ha mai fatto trasparire alcun segnale di emozione. Lo vede quasi come un atto dovuto per il duro lavoro che è (“finalmente”, come dice lei) riuscita a fare nella scorsa off season.

6-3 6-2 ad Angelique Kerber numero 1 al mondo e vincitrice di 2 Slam nel 2016; 6-4 6-0 a Garbine Muguruza, numero 7 e campionessa in carica del Roland Garros. Dopo qualche difficoltà contro Pauline Parmentier e, soprattutto, Eugenie Bouchard, CoCo ha inserito le marce alte ed ha demolito le più quotate avversarie. Venus, una degli idoli sportivi della statunitense, è avvisata.

Nata nel 1991, il cognome negli States è piuttosto famoso fin dai nonni: Erin è stato giocatore di NBA per i New York Knicks, Colleen Kay Hutchins nel 1952 è stata eletta Miss America. Lo zio, Ernest Maurice (detto “Kiki”) è direttore esecutivo della NBA dopo essere stato discreto giocatore degli anni ’80. La madre, Tauna Vandeweghe, è stata atleta olimpionica sia nel 1976 che nel 1984, prima nel nuoto e poi nella pallavolo; il fratello Beau è anch’egli pallavolista e per finire Michael O’Shea, il patrigno, è un fisioterapista che ha lavorato per tanto tempo con atleti di alto calibro come John McEnroe e Martina Navratilova. Se ora CoCo ha il cognome della madre è perché all’età di 16 anni decise di interrompere ogni rapporto col padre, con questo anche l’abbandonare il precedente cognome, Mullarkey.

“Nella mia famiglia siamo tutti extra competitivi” ha rivelato oggi in sala stampa, “anche se ci troviamo attorno al tavolo per giocare a carte”. I nonni sono morti ormai da qualche anno, e CoCo ancora non riesce a non pensarci: “Loro sono stati una fonte enorme di ispirazione. Correvo da loro quando mia mamma era arrabbiata con me, mia nonna mi faceva sempre trovare degli Oreo e li mangiavamo insieme, era bello. Sfortunatamente loro non sono più qui e non posso più rivivere quei momenti se non quando mi siedo silenziosamente in una stanza e sento il bisogno di parlargli, alle volte mi sembra di poterlo fare”.

Prima di scegliere definitivamente il tennis, ha praticato altri sport a livello giovanile come il calcio o il basket. Quando poi ha scelto definitivamente la racchetta, nel giro di breve è avvenuto l’esordio ufficiale a livello WTA: a San Diego nel 2006 aveva 15 anni ed era senza ranking, eppure non sfigurò contro Kateryna Bondarenko. Nel 2010 l’avevano selezionata per la finale di Fed Cup contro l’Italia a San Diego. Aveva gli occhi di tutti addosso, però perse entrambi i singolari che furono poi decisivi per il successo della nazionale di Corrado Barazzutti.

Dotata da sempre di un carattere non facile da gestire, è probabilmente ancora alla ricerca di un equilibrio. Negli anni sta affilando sempre più questo particolare, per quanto ancora abbia tendenze a lanciare racchette per terra o ad essere un po’ irruenta nei modi.

Il suo primo momento d’oro è giunto nel 2012 a Standford, quando da ripescata fu fermata solo da Serena Williams in finale. Mancava continuità, mancava la giusta attitudine, condannata sempre da un carattere complicato che la portava a non voler impegnarsi in maniera concreta per crescere.

A segnare un primo taglio netto con il passato è stato il torneo di S’Hertogebosch del 2014, quando ha infilato sette vittorie e si è aggiudicata il primo titolo della sua carriera battendo Jie Zheng in finale. Nel 2015 i quarti di finale a Wimbledon con l’ottima figura fatta contro Maria Sharapova dopo le vittorie contro pronostico su Lucie Safarova e Karolina Pliskova, nel 2016 di nuovo il successo nella località olandese, stavolta superando Kristina Mladenovic.

Le è sempre mancata continuità, eppure per le qualità di gioco avrebbe tutto per essere stabilmente una delle prime 20 del mondo, limite che abbatterà solo al termine di questo torneo. A chi le chiede se avvertirà la pressione, risponde: “Forse gioco meglio quando sono nervosa o avverto un po’ di pressione. Non mi intimorisco di fronte ad una sfida. Non ho mai avuto paura, crescendo ho sempre voluto provare alle persone che sbagliano in mille diversi aspetti della mia vita, quando pensano invece di sapere ogni aspetto di quello che mi riguarda”. Quella di giovedì, contro Venus, sarà dunque una sfida che vorrà godersi fino alla fine, conscia del fatto che questo traguardo la soddisfa, ma non le basta. Caratterino niente male.

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