Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
13 Set 2016 15:51 - La parola del Direttore
Wawrinka cancella i ‘Fab Four’: questa è l’era dei ‘Big Fve’
Lo ha rifatto. Da capo. E viene da pensare che sia l’attività in cui riesca meglio, quella in cui le molte doti che possiede, e anche i difetti, trovino una giusta via, un accordo che esalti le une e renda inoffensivi gli altri.
di Daniele Azzolini
Stan Wawrinka che prende a pallate Novak Djokovic… E in che modo, poi. Con quale trasporto. Con che gusto, persino. Uno che ti schiaccia all’angolo, che determina accelerazioni sfacciate, che tira più forte di chiunque altro. Più di Del Potro, e con entrambi i colpi. Uno che ti tempesta, al punto che non c’è riparo, tranne quello di tirargli l’ombrello, a casaccio, e sperare di colpirlo. Nole lo ha fatto, gliel’ha tirato quell’ombrello, e gli avrebbe tirato anche una scarpa, o la racchetta se solo avesse potuto. E con le sue qualità di esimio ribattitore è pure riuscito a centrarlo, qualche volta. Altre ci è andato vicino. Ma quasi sempre ha subito, nel modo un po’ tormentato, persino un po’ sbrindellato, che è tipico dei molto forti quando trovano qualcuno che non ammettono essere forte come loro.
Sapete, non è poi automatico sentirsi il numero uno ed essere disponibili a mettersi in discussione. Non è affatto facile possedere i titoli e i colpi del più forte, e cogliere al volo i consigli che vengono dal campo. Essere abituati a recitare da protagonista e accettare di cambiare trama, tattica, atteggiamento, solo perché l’attore non protagonista è più incisivo e conosce meglio le battute. Non basta fare un clic, o tirare una manopola.
Stanimal è al terzo Slam. Federer, che gli ha affibbiato il nomignolo, potrebbe chiamarlo a questo punto Stanislam. Gli ha fatto un bel favore, l’amico Waw. Ha tenuto Djokovic a distanza, 12 titoli, nell’anno in cui tutti pensavano, tutti dicevano e scrivevano che avrebbe fatto strike. Avrebbe vinto il Grande Slam, si sarebbe portato a un passo dai 17 trofei di Federer. Non è successo. Djokovic si è fermato a Parigi. Poi ha fallito a Wimbledon, si è dissolto ai Giochi, ha subito una nuova lezione in una finale da Wawrinka agli US Open. Due finali Slam, due vittorie dello svizzero, che nei momenti che contano si trasforma. Dal 2005 al 2013 Stanimal ha giocato 13 finali, ne ha vinte quattro. Dal 2014 ne ha aggiunte 11, e le ha vinte tutte.
Ha evidenti problemi, il numero uno. Sì, anche familiari, come ha confessato lui stesso, per spiegare in modo convincente il suo appannamento, ma di fatto spalancando le porte alle voci più incontrollate. Tradimento. Divorzio in vista. Certo è che il volto di Jelena, in tribuna, pallido e poco interessato, non era quello visto in altre occasioni, non c’era esultanza né sconforto. Soprattutto, non c’era partecipazione. Ma più immediati sembrano i problemi tecnici. Le sconfitte sono giunte con giocatori che l’hanno assediato con il metodo Wawrinka, sfilandogli il controllo del gioco. Lo stesso Querrey lo ha annichilito così. Figurarsi un Del Potro.
Togliere il controllo a Djokovic significa impedirgli di apparecchiare la tavola come preferisce, di attendere i varchi giusti, ma di continuo strattonarlo, sfidarlo sugli angoli, sui vincenti. Quarantasei a trenta, ieri, 16 punti puliti, una dote di quattro game da distribuire nel corso della finale. E così spuntano i vecchi guasti nel gioco del Djoker, la tendenza a liberarsi del colpo, vada come vada; l’errore banale, la disattenzione, proprio lui, considerato mente suprema del tennis; e le smorfie, i dolori, quelli veri (ha chiesto i tre minuti sul 3-1 per Wawrinka nel quarto set, e il piede sanguinava) e quelli meno veri. Un corredo del primo Djokovic sul quale, a detta di Becker, molto era stato fatto, e corretto. Ma il DNA, lo sapete, non si cambia in corsa.
«Per battere i più forti, occorre essere coraggiosi». Stanimal chiude con una frase che molto somiglia a un aforisma. Ha avuto i suoi guai, sotto forma di crampi, «ma con Magnus Norman eravamo d’accordo che nulla dovesse trapelare. Duro dentro e concentrato sul mio corpo, fino alla fine». I tre Slam lo affiancano a Murray, possibile che nessuno lo prenda in considerazione per un posto fra i Fab? «Loro hanno fatto di più, credo». Non è così, ma forse la Storia lo premierà, e fra qualche tempo rileggeremo di questo decennio di sfide fra cinque fortissimi cavalieri del tennis. I Big Five.