Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
04 Giu 2016 18:48 - La parola del Direttore
Serena-Garbine, la sfida è appena iniziata
di Daniele Azzolini
TENNIS – PARIGI – Di DANIELE AZZOLINI. Ora che il Roland Garros non è più stretto nella morsa di Nadal, Garbine Muguruza viene a darci lezioni di storia. Ce lo meritiamo, e ne prendiamo atto. In fondo, ha ragione lei.
«È il nostro torneo, il torneo degli spagnoli», dice, commossa il giusto ma senza straripare di lacrime, cosa di cui le siamo grati, vista la piena della Senna che ormai lambisce gli archi del Pont Neuf. Da parte nostra, ci inchiniamo alla consuetudine di una bandiera spagnola che sventola sullo Chatrier, anche se inevitabilmente finiamo per rimpiangere le finali nadaliane, ora che il menù è ristretto a due grandi, Nole, Andy, che però non hanno l’allure dei predecessori, né sanno titillare identiche corde emotive.
Mi chiedo, semmai… Perso l’uno (Nadal), avanti l’altra (Muguruza)? Non è così semplice. L’infortunio spinge Rafa ai margini del tennis che conta, ma la vittoria non assegna a Garbine l’alloro della numero uno, né di fatto apre un’Era Muguruza. Non ancora. Di certo non è lontano il traguardo e Garbine ha dalla sua la gioventù (a pensarci bene, è appena la seconda tennista nata negli anni Novanta a vincere uno Slam, dopo Petra Kvitova) e lo stesso modo di “fare tennis” di Serena Williams. Giù cazzotti, contro chi o cosa non si sa, ma forse non è così importante. Garbine prende a pugni la pallina, Serena ha fatto lo stesso per quindici anni. Non pungono come api, né volano come farfalle, non lo saprebbero fare, né sembrano averne bisogno. Un qualsiasi sentore di tattica, nel loro tennis, comporterebbe il riconoscimento che dall’altra parte c’è un’avversaria di cui tenere conto. E a loro non interessa.
Eppure, Garbine ha dominato, anche contro una Serena che ha fatto del suo meglio. Al servizio, per dire, l’americana ha ottenuto di più della spagnola, che pure sembrava una folgore. Impossibile però dimenticare come ha perso questa finale: sotto già all’inizio e subito in angoscia, ha recuperato e nuovamente sbandato. Ha cancellato 4 match point combinando subito altrettanti disastri, e sull’ultima palla si è fatta beffare da un lob sulla riga, convinta fosse fuori. Il dato evidente è che Serena non può più permettersi i troppi errori e le improvvise omissioni di cui infarcisce da troppi mesi ormai i suoi match. Le più giovani, quando (a turno, finora) riescono a issarsi al suo cospetto, riescono in qualche modo a farglieli pagare. Questa è la novità, ancor più delle sconfitte di Serena. Anzi, nella sua complessità, il tennis dice che la Williams è ancora la più forte, anche se da questa finale vinta Garbine sarà la numero due, dunque la sua prima sfidante. Su una superficie che conosce benissimo, ma sulla quale non aveva mai vinto un torneo, la spagnola ha mostrato di poter gestire un match dai toni esasperati. In questo è cresciuta e per questo è giusto che Serena si preoccupi. «Ho fatto tesoro di tutte le volte che ci siamo incontrate», ha sintetizzato Garbine, dicendo una bugia. In realtà ha condotto a maturazione un processo di crescita, lo stesso di Serena (né più né meno), ma con tre anni in più. Oggi, forte sul cemento e già finalista sull’erba di Wimbledon, Muguruza ha tutto per proporsi per la successione. Si tratta solo di capire quanto tempo ci vorrà per il sorpasso.
«Da qui in avanti sarà una bella sfida», ha digrignato Serena, pugnace come sempre.