Wimbledon, Serena e Wozniacki contro la programmazione "maschilista"

TENNIS – WIMBLEDON – Di Samuele Delpozzi. A quasi un decennio dalla battaglia combattuta (e vinta) da Venus Williams per la parità dei montepremi in tutti gli Slam – nel 2007 la Venere nera fu la prima donna a ricevere un assegno identico al il vincitore del torneo maschile di Wimbledon, Roger Federer –, è Serena a raccogliere il testimone da pasionaria dalle mani della sorella maggiore.

Oggetto del contendere questa volta è la programmazione dei Championships, bollata come sessista da Caroline Wozniacki al termine del match (perso) contro la Muguruza. La danese si è infatti lagnata innanzitutto dell’erba del Campo 2, a suo dire diversa da quella dei primi turni e colpevole di averle scombussolato il timing, per poi sganciare la bomba contro gli organizzatori: “Vorrei giocare su uno dei campi principali, è il motivo per cui tutti ci alleniamo e lavoriamo duramente. Le donne però non hanno avuto l’opportunità di giocare sui palcoscenici più grandi, al massimo un incontro sul Centrale e sul Campo 1. E per gran parte della scorsa settimana è andata così anche sul 2”.

Serena, durante la conferenza stampa post-Azarenka, ha dato man forte all’amica Caroline, rimarcando il fatto che a Londra si ripresenti il medesimo scenario ogni anno, con un rapporto di 2:1 tra incontri maschili e femminili sui campi principali. La numero 1 mondiale, nonostante i progressi già fatti, ha poi sottolineato la necessità di “continuare a lottare per progredire ulteriormente, un passo alla volta. Speriamo prima o poi di arrivare ad avere ancora più match di cartello in programma”.

La disparità di trattamento è particolarmente evidente a Wimbledon, dove il delicato manto erboso sconsiglia l’utilizzo massiccio degli “show courts”, cui sono assegnati tre incontri giornalieri al massimo. Gli altri Slam invece, non avendo problemi di superfici deteriorabili, possono sfruttare maggiormente i loro grandi palcoscenici. Ma soprattutto, a prescindere dal numero totale di match previsti, vi è un’equa ripartizione della ribalta tra i due sessi: una consuetudine che i britannici – da sempre legatissimi alla tradizione, al limite dell’anacronismo – faticano a far loro.
Nonostante ciò, Serena ha esteso il discorso ben al di fuori dei prati inglesi, cattive abitudini che riguarderebbero anche “molti altri tornei, gran parte dei “combined” dove giochiamo insieme agli uomini. Non penso che la radice del problema sia qui, c’è un’importante discussione che dobbiamo affrontare”.

Al di là della richiesta, assolutamente legittima, va anche fatta una riflessione sui differenti momenti storici che stanno attraversando i due circuiti, dato che potrebbe avere (avuto) una qualche rilevanza in sede di programmazione. Da una parte il tennis maschile si trova in uno dei periodi più floridi della sua storia, con molti volti riconoscibili ancora in pista – tre dei Fab Four resistono in cima alle classifiche – e diversi giovani dalla forte personalità, privi di qualsiasi timore reverenziale, in rapida ascesa. Senza dimenticare le mine vaganti alla Wawrinka, in grado di terremotare qualsiasi certezza con tassi di spettacolarità elevatissimi.
La WTA resta invece aggrappata al gonnellino di Serena e Sharapova, uniche stelle di prima grandezza superstiti e tuttavia mai in grado di imbastire un abbozzo di rivalità, stante la schiacciante superiorità della prima. Spazzata via ogni parvenza d’equilibrio dal ritiro delle belghe e dalla triste condizione medica di Venus, ci ritroviamo in piena dittatura, paradossale e feroce, di una trentaquattrenne già oltre il suo picco da un decennio abbondante.

La possibilità di Grande Slam della Williams – evento epocale che non si verifica da quasi trent’anni, ma ormai a portata di racchetta – rappresenta quindi l’unico reale motivo d’interesse del tour, cristallizzato in un limbo senza fine di risultati già scritti.
Il resto della top-10, pallide comparse di una sceneggiatura senza pathos, deve innanzitutto fare mea culpa per l’assenza di “star power” da mettere sulla bilancia delle contrattazioni. A cominciare proprio dalla Wozniacki, ex numero 1 senza titoli e prossima numero 4 con un solo quarto di finale Slam negli ultimi 14 tentativi: non è un caso che il suo match con la Muguruza, sulla carta molto più intrigante, sia stato dirottato sul Campo 2 per far posto a Sharapova-Diyas, scontato quanto si vuole ma di maggior richiamo per il pubblico generalista.

In sintesi, le autentiche icone del gioco risentono solo in minima parte della programmazione maschilista, in virtù del loro status di intoccabili. Quando invece latita lo spessore agonistico – ferma restando la bontà della rivendicazione in senso generale – è difficile accampare grandi pretese, non essendo sufficiente la presenza di Lindsey Vonn nel box per colmare la mancanza di prestigio che solo le vittorie sul campo possono dare. A meno di non chiamarsi Kournikova, certo, ma quella è un’altra storia.

 

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