Wimbledon, la finale continuerà una leggenda o ne comincerà un’altra?

Chissà quante volte Novak Djokovic avrà trascorso un sabato come quello appena passato. La grande carriera alle spalle, una semifinale vinta senza affaticarsi troppo, l’attesa del pretendente al trono, il pronostico un po’ in bilico, forse addirittura dalla parte dell’avversario, per via dell’età che avanza. Thiem, Medvedev, Tsitsipas, forse anche Berrettini, Kyrgios tra il ’20 e il ’22, sembravano pronti a cogliere lo scalpo del vecchio guerriero eppure in un modo o nell’altro è dovuto intervenire il COVID per togliere degli slam dal carnet del serbo. L’eccezione, la ricorderete, è stata la finale dello US Open del 2021, quando proprio Medvedev tolse la soddisfazione del grande slam, rendendo più umano RoboNole, che finì in lacrime davanti ad un pubblico non finalmente non ostile. Sembrava l’ultimo atto e invece da allora Djokovic ha vinto altri tre slam gli ultimi due addirittura quest’anno. Andrà così anche questa volta?

Il tempo che passa non gioca a favore di Nole naturalmente, che prima o poi, magari per consunzione, sarà costretto a cedere il passo, ma davvero aspetterà una finale, di Wimbledon poi, per farlo? Gli scricchiolii di Djokovic si notano da tanto tempo, ma Djokovic è stato fantastico nel compensarli con una serenità e con un acume tattico che col passare degli anni non poteva che migliorare. Preso atto che non tutti i punti sono uguali e che non tutte le partite sono le stesse, Djokovic ha preservato il suo fisico sia durante l’anno, sia durante il singolo torneo, sia nella singola partita con una strategia non particolarmente complessa ma terribilmente efficace. Djokovic sceglie con cura non solo i tornei dove andare ma anche quelli in cui vale la pena impegnarsi davvero e pazienza se a Dubai, a Monte Carlo, a Belgrado, a Roma si perde: il torneo non vale la pena di spendere tutte le risorse fisiche a disposizione. Ma a Melbourne, a Parigi, a Wimbledon, Djokovic aumenta lievemente il dispendio di energie via via che passano i turni. E nella singola partita Djokovic gioca con grande attenzione i propri turni di servizio limitandosi a verificare se c’è la possibilità di brekkare quando va in risposta e, una volta riuscitoci, senza più dannarsi nei turni successivi. Le partite con Rublev e con Sinner, anche da questo punto di vista, sono state esemplari: break ad inizio set e poi lotta e impegno solo sul proprio servizio. Nei sette set giocati tra quarti e semi ben cinque sono andati in questo modo. Gli altri due, il primo contro Rublev e il terzo contro Sinner, solo casualmente sono finiti diversamente: nel quarto di finale Rublev era riuscito ad annullare tre palle break nel sesto game del primo set; nella semi Sinner è risalito da 0-40 nel terzo game del terzo set.

In finale, se dovesse servire, Djokovic darà fondo a tutte le energie ma certamente si adatterà al match. Dall’altra parte trova quello che è via via che il tempo passa sembra poter arrivare al livello dei fab3 e chissà, magari superarlo. Carlos Alcaraz non è né Tsisipas né Thiem e neppure Medvedev, come ha messo in chiaro nella semifinale, e prima nella finale di Indian Wells. Il ragazzo spagnolo sembra l’upgrade del dominatore del circuito perché a differenza di chi l’ha preceduto pare non avere punti deboli. Nadal e Djokovic non andavano volentieri a rete e non avevano certo la mano di Federer, che dal canto suo non amava troppo prolungare lo scambio. Ad Alcaraz tutto questo sembra non importare. La varietà del gioco che ha mostrato in questo Wimbledon – e che fa vedere ormai da un paio d’anni al grande pubblico – è tale da metterlo in condizione di poter fare sostanzialmente ciò che vuole quando vuole. Contro Medvedev non ha accettato troppo lo scambio da fondo, non tanto perché rischiasse particolarmente di perderlo ma perché il dropshot o il serve and volley potevano dare risultati più immediati, Alcuni attacchi in controtempo sono sembrati uscire dalla mano di Federer, che era più elegante certo, ma che come accennato non aveva la stessa solidità quando veniva attaccato. E ovviamente la pesantezza di palla di Alcaraz non è seconda a quella di nessuno. Il punto debole, che sparirà inevitabilmente col passare degli anni, riguarda da un lato la gestione tattica del match e dall’altro la tendenza ad uscire ogni tanto dal match o, a volte, a strafare. Con Medvedev ha perso due servizi di fila sostanzialmente per distrazione, ma è inutile sottolineare quanto questo possa essere pericoloso in un match equilibrato. Così come la tendenza ogni tanto a sfidare il rivale sul suo colpo migliore per travolgerlo può fargli perdere qualche punto di troppo. E, infine, a volte sembra indispettirsi per un colpo complicato o, viceversa, cercare di complicare un colpo semplice andando a cercare l’ultimo millimetro di riga.

Il margine di Alcaraz con gli altri è tale da rendere questi difetti di gioventù alquanto trascurabili. Del resto Alcaraz, da quando è tornato dall’infortunio patito a Bercy, ha perso la miseria di quattro partite: una subito dopo il rientro, dopo aver giocato – e naturalmente vinto – 8 partite di fila, sciupando il vantaggio di un set e di un 3-0 nel secondo; una sciupando la palla break che l’avrebbe portato a servire per il match e un’altra quantità di occasione nel terzo; la terza contro Marozsan, vedete voi; e la quarta a Parigi non serve ricordarla.

È verosimile che Djokovic entrerà in campo cercando di aggredire Carlitos, confidando nel timore che dovrebbe produrre la prima finale a Wimbledon e cotanto avversario. Sa perfettamente che se gioca come ha giocato fin qui Alcaraz, timore o non timore, non avrà difficoltà a vincere il suo secondo slam e quindi è da escludere che ripeta le partite viste sin qui. Alzerà la percentuale di prime – molto bassa contro Sinner – e non ci penserà neanche a far partita di tocco, e proverà a far giocare il classico colpo in più, meglio se due o tre, ad Alcaraz. Il primo set dovrebbe essere fondamentale, perché difficilmente lo spagnolo, addentata la preda, potrà farsela sfuggire.

Dal punto di vista tecnico, come forse si intuisce, la partita sembra troppo complicata anche per Djokovic – il Djokovic 36enne, vale la pena ricordarlo – ma non di solo tecnica vive il tennis. Quello che ci auguriamo, auguriamo a tutti noi, è che sia una bella partita, magari molto tirata e che non sia dominata dalla tensione, che favorirebbe Djokovic naturalmente. In ogni caso sarà una partita indimenticabile, perché o Djokovic assurge al trono degli dei rendendosi irraggiungibile dagli umani o la storia finisce qui e Alcaraz comincerà la sua rincorsa ai record di chi l’ha preceduto. E di quelli del tipo dall’altra parte della rete.

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