Far meglio di McEnroe ed Edberg senza essere erbivori

TENNIS – DA WIMBLEDON, RICCARDO NUZIALE – Con il successo per 64 64 64 su Marin Cilic, Novak Djokovic si è qualificato per la sesta semifinale consecutiva ai Championships, superando le cinque di McEnroe, Edberg, Lendl e Murray. Un dato che conferma lo straordinario rendimento del n.1 sull’erba. La quale però, paradossalmente, per ipse dixit è la superficie meno “sua”.

Prima di ripartire per l’amata Maiorca, alla domanda sul suo attuale rapporto con l’erba, superficie che dal 2012 gli sta dando solo tramortimenti, Rafa Nadal ha tuonato con un avvertimento d’orgoglio, se non di sfida nei confronti di quel giornalismo che dimentica con estrema facilità l’altroieri: “Non dimenticate che qui ho fatto cinque finali. Non so quanti giocatori ci sono riusciti”.

La tredicesima vittoria su tredici incontri di Novak Djokovic su Marin Cilic (è la vittima preferita del serbo nel circuito) ha affossato il Centre Court negli sbadigli come solo le non-partite sanno fare. Lontano il quarto di finale dello scorso anno, terminato al quinto set, tanto che questo è stato il primo match Slam tra i due ad essersi concluso senza la consolazione di set strappati da parte di Cilic.
 
A livello statistico e simbolico, però, questa (non)partita ha un sapore davvero speciale per il n.1 del mondo. Il triplice 64 odierno è infatti la 50a vittoria ai Championships di Djokovic, che è entrato così in una cerchia esclusiva comprendente Connors (capolista con 88 successi), Federer, Becker, Sampras, McEnroe e Borg. Altro conseguimento tondo, questa è stata la 650a partita vinta nel circuito maggiore da Nole, che tra i giocatori in attività è terzo dietro Federer (1035) e Nadal (740).
 
E forse ancor più importante del fatto che quella di venerdì sarà la 27a semifinale Slam (4o dell’Era Open) e la 7a a Wimbledon, c’è un dato che illumina la giornata del serbo: oggi si è qualificato per la sesta semifinale ai Championships consecutiva. Non perde prima dal 2009, quando si arrese a Tommy Haas nei quarti. Solo Federer (7 dal 2003 al 2009) ha fatto meglio nell’Era Open, solo Borg e Connors hanno fatto altrettanto. Giganti del tennis su erba come McEnroe, Edberg (5), Becker e Sampras (4) non ci sono mai riusciti.
 
La continuità, la costanza che Djokovic sta dimostrando a Wimbledon è incredibile, che suggerisce una dimensione ancora più definita dei due titoli vinti sui prati londinesi. Eppure il serbo, che su cemento viene considerato una macchina semimbattibile e sulla terra battuta da anni il successore senza corona di Nadal, nel mese verde dell’anno non gode, a livello mediatico, dell’attenzione e il rispetto che stando ai risultati meriterebbe.
 
A contribuire c’è forse la sua assenza nei tornei di preparazione negli ultimi cinque anni (non ne gioca uno dal Queen’s del 2010), che gli ha impedito di “arrotondare” il suo computo di trofei vinti in carriera sull’erba, che si “ferma” ai due trionfi ai Championships; e il suo gioco, evolutosi ma di certo non naturalmente da erba, allontana forse le simpatie estetiche di certi palcoscenici, che nonostante il rallentamento della superficie ancora concepisce un altro tipo di tennis su questi campi.
 
Ma numeri alla mano Djokovic, così come Nadal prima di lui, è uno dei grandi erbivori della contemporaneità. Se poi la contemporaneità non ha quasi più niente di erbivoro è un’ipotesi filosofica che potrebbe tenerci alzati la notte intera davanti a una bottiglia di vino. 

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