Il guerriero che detesta i Warriors e la solitudine

TENNIS – DA WIMBLEDON, RICCARDO NUZIALE – Nick Kyrgios è “nato” l’anno scorso a Wimbledon e a Wimbledon continua a stupire. Per la facilità di gioco, ma anche per una personalità straripante. Che nasce dal basket…

 

Non fa notizia superare raggiungere il terzo turno dopo aver superato sull’erba due argentini, per quanto battere un ex top 20 come Juan Monaco in tre set, senza concedere palle break, sia per sua stessa ammissione figlia di una prestazione piuttosto buona. Oltretutto se queste due convincenti vittorie sono arrivate in condizioni fisiche non ancora perfette, con i postumi di una sinusite a infastidirlo ancora.

A stupire ancora una volta di Nick Kyrgios è la personalità. Strabordante, erculea, ebbra, ma in pieno, lucido controllo. Questo Wimbledon è iniziato nel modo più simbolico possibile, sul campo numero 2. Quello che, dopo il suo match, ha chiuso la carriera erbivora del “padre generazionale” Lleyton Hewitt, a confermare il titolo di cimitero dei campioni; quello che un anno fa il campione l’aveva battezzato, al termine di una rimonta da grande cinema ai danni di Richard Gasquet.

Quel giorno la personalità dell’australiano dal nome da letteratura epica si fece statuaria e ora, dodici mesi dopo, non fa che confermarlo. Dopo la comoda vittoria con Diego Schwartzman, gli è stato chiesto delucidazioni su un’espressione da lui urlata nel terzo set, dirty scum (pezzo di merda). Era rivolta all’arbitro, con il quale aveva avuto una discussione? Nient’affatto, era rivolta a se stesso. E all’ulteriore domanda del giornalista sul motivo di quell’attimo di autolesionismo verbale, Kyrgios ha risposto nel modo più semplice e penetrante possibile: “perché posso”. Non è tutto: alla maliziosa domanda sul rischio di essere marchiato con la nomea di bad boy del nuovo tennis, Kyrgios non si è scomposto minimamente: “Non so che rispondere. Gioco come gioco. Non ho intenzione di cambiare”. Chiudendo la conferenza stampa proclamando di voler essere solo sé stesso, senza cercare di assomigliare a qualcuno.

Un trattato di spacconeria giovanile, potrebbe sembrare, che è sicuramente confermato dall’arroganza agonistica talvolta sfociante nel narcisismo, ma sarebbe peccato di superficialità fermarsi qui.
 
Il giovane campione ha avuto modo di parlare anche della sua seconda grande passione, il basket. L’NBA in primis, naturalmente. Si viene a scoprire così che nelle recenti Finals Kyrgios, in mancanza dei Boston Celtics, ha fatto un tifo spudorato per i Cleveland Cavaliers di LeBron James, “di gran lunga il miglior giocatore del mondo”. O, se volete, ha fatto tifo spudorato contro i Golden State Warriors: “Non mi piace proprio quella squadra, non mi piace il fatto che abbia vinto. Tutto qui”.
 
L’aspetto più interessante è scaturito però sul perché a Kyrgios piaccia così tanto il basket, che distrugge l’idea del giocatore chiuso in sé stesso e nella propria convinzione di possedere un tennis che pochissimi hanno: “Mi piace tutto l’aspetto dell’ambiente di squadra”. Ecco quindi che il giovane australiano non ha una visione fine a sé stessa della propria figura e del proprio ruolo, ma è ben conscio di giocare da leader della new generation aussie: “Siamo cresciuti insieme. Abbiamo tutti lavorato sodo e abbiamo tutti potenziale per essere buoni giocatori.”

Magari anche qualcosa in più: il continente dei grandi decaduti non aspetta altro. Kyrgios proverà a farlo capire anche nel prossimo turno, quando avrà la possibilità di vendicarsi di colui che lo fermò a Wimbledon lo scorso anno: Milos Raonic.

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