I fenomeni, i noumeni e i campioni: il dibattito infinito

 

 

 TENNIS – QUIET PLEASE!- Di ROSSANA CAPOBIANCO – C’è forse il più grande di tutti i tempi o forse non c’è. Forse la necessità di trovare il migliore di tutti non ha senso e quindi dalla monarchia siamo arrivati ad una strettissima oligarchia: chi sono i fenomeni? Chi sono stati? Chi nonostante campionissimo non rientra nella cerchia? Perché? Abbiamo cercato di analizzare tra filosofia e sport le motivazioni e i ragionamenti che portano a queste scelte. Siete curiosi?

 

Le dispute e gli scontri di questi tempi riguardano soprattutto il G.O.A.T. Per i meno abituati al linguaggio tennistico, il Greatest Of All Time , ovvero la necessità, il desiderio tutto umano di mettere un punto, un carattere definitivo a un dibattito che dura da anni e, vista la diversità di pensiero e preferenze, difficilmente si concretizzerà.

 

Quello che questo articolo ha intenzione di analizzare è l’importanza e le motivazioni nella selezione di fenomeni del tennis in campo maschile. L’abuso della parola è pressoché spropositato, quotidianamente inflazionato, ma effettivamente il fenomeno è “Ciò che appare, che quindi non può corrispondere all’oggettività e che si manifesta ed è conoscibile tramite i sensi”. Questo insegna la vecchia Grecia, dai sofisti fino a Platone e oltre.

 

In questo senso, la discussione infinita che non trova vie d’uscite concordi ha un senso chiarissimo e anche giustificato, l’impossibilità (e dunque anche l’inutilità) di stabilire con certezza il fenomeno ha poco a che vedere con numeri e dogmi, mentre scavalcando il concetto platoniano di noumeno e approfondendo la sua kantiana definizione che più si addice ad un moderno ragionamento, si definisce tale una realtà non percepibile e non definibile che però si trova “dentro” e “in fondo” ai fenomeni che percepiamo, al di là dell’apparenza ma che in realtà permette che appaia.

 

Non è intenzione dell’autrice ammorbarvi con filosofia anch’essa discutibile e non sempre adatta a ragionamenti molto più concreti che hanno a che vedere con numeri, risultati, anni. In letteratura si chiama capolavoro (il corrispondente fenomeno letterario) quello che va oltre l’orizzonte delle attese, che cambia il modo di scrivere, di intendere la stessa sfera tematica e letteraria.

 

E in questo senso possiamo trovare affinità con lo sport, meglio se individuale: nel tennis chi ha fatto davvero qualcosa che nessun altro prima ha compiuto? Chi ha vinto cambiando il modo di intendere o alzando il livello in maniera clamorosa? Chi ha creato un seguito tecnicamente e malgrado le nemesi nessuno ha comunque messo in dubbio il loro status in quel momento storico e non solo?

 

Sebbene questa rimanga una discussione e come tale sia opinabile, questi sono i prescelti:

 

ROD LAVER

 

C’è stato Kramer, c’è stato Fred Perry ma il tennis ha iniziato a essere qualcosa che possiamo riconoscere anche oggi solo grazie a Rod Laver; certamente la concorrenza non era minimamente paragonabile a quella di adesso, le superfici erano due ma questo signore dai mancini gesti eleganti ha cavalcato due ere: quella dei dilettanti e quella che ha dato via al tennis moderno. In queste due ere, ha vinto due Grand Slam; i quattro Slam in una stagione, mostrando per la prima volta nella storia del tennis una continuità e una capacità di dominare che nessuno si aspettava e che ancora oggi, mentre si ammira il talento in vecchi filmati dai ritmi lenti ma piacevoli, si fatica a credere.

 

BJORN BORG

 

Passato alla storia per i suoi cinque Wimbledon consecutivi (mai nessuno come lui prima, poi solo Federer), ha fatto quello che nessuno aveva mai usato prima: adattare il suo tennis da fondo campo ai campi in erba con un successo non prevedibile. Al suo tempo lo svedese impose standard atletici e tecnici sconosciuti ai suoi rivali in quell’epoca: fu il primo ad usare il top-spin con la racchetta di legno mediante la rotazione del polso; colpo che avrebbe poi permesso, con le nuove racchette e i nuovi materiali ad aumentare le potenzialità del colpo stesso e di quel tipo di tennis. Il seguito di tennisti simili che si ispirarono a Borg fu corposo e portò ad una maggiore specializzazione delle superfici.

 

ANDRE AGASSI

 

Chi pensava a quel tipo di anticipo prima che sulla scena arrivasse Andre Agassi? Praticamente nessuno. Fin da giovanissimo, “vittima” del padre troppo duro e determinato nel vedere il figlio un sicuro campione, mostrava abilità e attitudine a seguire la palla con gli occhi e a prevedere la sua traiettoria senza muovere la testa e perdere coordinazione: fondamentale per il suo tipo di gioco, quello di attaccare da fondo; non essere propenso ad attaccare la rete ma nemmeno ad aspettare l’errore altrui. Chi pensa che Agassi sia solo il “winning ugly” del “suo” Brad Gilbert si sbaglia di grosso. Evoluzione naturale di Borg, ha portato il contrattacco ad un livello ed una evoluzione tecnica che ha cambiato ancora una volta il modo di intendere questo sport. Sì, molto più del suo rivale più vincente, più dominante, che lo ha battuto quasi sempre: Pete Sampras è stato un campionissimo e a modo suo fenomenale nel saper vincere e nel modo di farlo ma ha avuto un inizio ed una fine, senza peraltro avere un vero seguito di irrazionale tifo.

 

ROGER FEDERER

 

“Questo ragazzo cambierà il tennis, è finita per tutti”. Queste le parole proprio di Agassi dopo una sconfitta contro Federer durante il Master di fine anno nel 2003: scuote la testa il Kid di Las Vegas e guarda con sorriso beffardo il suo ultimo coach, Darren Cahill, che non sa come dirlo ma annuisce silenziosamente. Roger Federer non ha solo vinto tutto, ma lo ha fatto conciliando due modi diversi di intendere il tennis (il classico e il moderno) con risultati superiori a tutti, creando un mix stilisticamente impensabile per chiunque associando colpi di genio che Foster Wallace definì “momenti Federer”, inspiegabili, solo percepibili, eppure visibili e per tutti clamorosi. Questa cosa è riuscito a farla solo Roger con continuità, tra debolezze superate e finto cinismo, dominio e trasformazioni, longevità e un livello che una volta alzatosi così tanto, al top non è più sceso (non ancora, almeno).

 

RAFAEL NADAL

 

Naturalmente i puristi dissentiranno: Sampras no e Nadal sì? E Becker? Ed Edberg? I presupposti che si sono creati hanno portato ad una precisa selezione, a dei motivi che hanno a che vedere con le evoluzioni, con le vittorie e i modi, con l’eredità e l’influenza. Rafa Nadal è ed è stato tutto questo: Novak Djokovic (per paragonarlo ad un coetaneo) è sicuramente molto più tennista di Rafa: più completo, un’evoluzione naturale dello spagnolo, sebbene “deviata”. Ma sarebbe esistito Djokovic se non ci fosse stato Nadal? Probabilmente no. Ed ecco il fenomeno che crea un tennis diverso, un’esasperazione del colpo che è sì attendista ma al tempo stesso micidiale, mortifera negli anni migliori, che sono stati tanti. L’atletismo ha permesso una base sufficiente e necessaria a questo tipo di tennis che ha però sbaragliato spesso e volentieri quella di un purissimo fenomeno come Federer, ne ha intaccato il dominio creando una rivalità tra le più belle di sempre. Il fenomeno sta in questo, nei nove (NOVE) Roland Garros vinti -chi ha vinto un torneo dello Slam tante volte? Appunto- e nel seguito che ha creato, dai circoli ai ragazzini, fino alle nuove leve.

 

 

Chi scrive sa benissimo che i presupposti, le a
ccezioni della parola fenomeno, le opinioni stesse sono molteplici e per questo di possibile contraddizioni: quello che però si è cercato di fare è creare una tematica comune per una strettissima selezione fenomenica, noumenica, attraverso i campioni.

Senza pretese ma con tanta passione, come quella di chi, sicuramente, criticherà aspramente le scelte compiute.

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