Il lungo (e inutile?) calvario di Juan Martin Del Potro

TENNIS – QUIET PLEASE! – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Il polso di Del Potro fa ancora male: dopo due operazioni (una a fine Gennaio) e l’infortunio di tre anni fa all’altro polso, il tempo passa e Del Potro non torna mai, non riesce ad essere più se stesso, a giocare un’intera stagione. Non giocherà probabilmente nemmeno a Parigi, andrò a fare altre consulenze. E allora ci chiediamo: serve davvero continuare a tentare? Cosa sta sbagliando l’argentino?

Ormai non ci facciamo nemmeno più caso: guardiamo i tabelloni, le entry list dei tornei e non ci chiediamo nemmeno più se ci sia o meno Juan Martin Del Potro.

Ci siamo abituati alla sua assenza: perché in effetti dall’anno della sua esplosione ha passato più tempo fuori che dentro al campo. Due gravi infortuni ai polsi, uno risolto dopo parecchio tempo e l’altro che non riesce a guarire. Sono due gli interventi ai quali Juan Martin si è sottoposto negli ultimi mesi, sempre nello stesso punto, in Minnesota dal dottor Richard Berger; torna ad allenarsi e promette di rientrare nel giro di qualche settimana ma poi sente di nuovo male. Troppo male a quel polso sinistro: motivo per il quale nelle prossime settimane effettuerà delle consulenze anche in Spagna.

Quello che appare praticamente certo è che l’argentino salterà il Roland Garros, Sidney e Miami sono stati due tentativi non andati a buon fine non per il livello espresso, che necessita comunque di tempo e partite, soprattutto per aver realizzato la non risoluzione di un problema molto grave.

E noi siamo qui a chiederci tante cose: non farebbe meglio a cambiare medico? Non avrebbe fatto meglio a farlo prima?
E’ una presunzione che ignora fatti di cui non possiamo essere a conoscenza ma di certo è chiara da sempre la tendenza di Juan Martin di non cedere al cambiamento. A iniziare da allenatori fino ad arrivare a preparazione fisica, passando per dottori che, purtroppo per lui, ha dovuto frequentare.

Cosa sarebbe il tennis moderno con Del Potro? Forse la risposta è molto semplice, per quanto inutile: molto più competitivo. Un giocatore di quella potenza e di quella personalità avrebbe certamente arricchito la top 5 e i tabelloni di Slam e MS1000 di incertezza e sfide, quelle che il resto della sua generazione (o quella appena dopo, per esser precisi) non è ancora riuscita ampiamente a fare.

Dovremo aspettare ancora e avere la fede che lo stesso “Delpo” dichiara di avere: tuttavia, a 27 anni, l’amarezza di averne già persi troppi e forse proprio i migliori è quasi una certezza.

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