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01 Set 2014 21:56 - La parola del Direttore
US Open: Djokovic avanza sul campo di riserva, ora una rinfrescante notturna?
di Daniele Azzolini
TENNIS – US OPEN – DALL’INVIATO DANIELE AZZOLINI – Novak Djokovic, “retrocesso” sull’Armstrong, ha superato in tre set (61 75 64) il tedesco Philipp Kohlschreiber, approdando ai quarti degli US Open. Dove Troverà Andy Murray, che con lo stesso numero di set ha superato Tsonga.
Il giochino di società che risultava più attraente, nei giorni addietro, era quello di azzeccare quale sarebbe stato il punto di rottura di Novak Djokovic in questi Open. Quando, e soprattutto contro chi. A pungolare l’ingordigia profetica degli esperti, erano state le due inattese cenciate ricevute dal nostro nei due “mille” di introduzione allo Slam, contro Tsonga a Toronto e subito dopo con Robredo a Cincinnati. La spiegazione, bell’e pronta, era nelle attività cui Nole si è dedicato subito dopo Wimbledon, quelle acquatiche e un po’ malinconiche nella notte brava dell’addio al celibato, con tanto di bambole gonfiabili e glutei al vento (tutto ampiamente paparazzato), quelle matrimoniali nel paesino di Sveti Stefan ridotto a privé, e quelle in preparazione del parto della signora Jelena, con tanto di dichiarazioni ai limiti del forfait definitivo. «Un figlio ti cambia necessariamente le priorità della vita», aveva detto Djokovic, senza che nessuno degli opinionisti si chiedesse il vero senso della frase. Un disimpegno dal tennis, la versione più accreditata, o al contrario, un impegno maggiore, per guadagnare di più e accogliere il pupo nella più dorata delle infanzie?
Per evitare di scervellarsi ancora su simili facezie, è utile considerare che quel famoso “punto di rottura”, in questi Open, ancora non si è mostrato sotto forme tennistiche, né si comprende perché mai dovrebbe rompersi qualcosa. Ma non si può escluderlo sotto altre forme, se continua questo impiastro di calura mista a odori di cipolle che ammorba l’aria in queste giornate fra le più afose dell’anno. Il tennis anzi è in crescendo, e occorre una bella frizione di prosciutto sui globi oculari per non accorgersene. Finché il caldo non lo spegne, il serbo mostra una discreta mascella spianata agli avversari, e giostra sul campo con l’incedere altezzoso di un galletto (body language… Passettini, chiappe ritte e occhiate in tralice) cui l’ultimo rivale sia stato cotto “au vin”. O magari sia stato messo da parte per un qualche problema al tendine della zampa (chi vuol intendere…).
Il match con il tedesco Kohlschreiber, capostipite moderno di ogni Goffin che si rispetti, è vissuto di un set d’avvio intagliato da Djoko con la più affilata delle sue armi, quell’innata capacità di disporsi in pochi centesimi di secondo alla sinistra della pallina, da qualsiasi parte essa provenga, per colpirla con violenza con un dritto poggiato sulla spalla. Anomalo, l’hanno ribattezzato. Ma anche animale sarebbe stato epiteto azzeccato. Di fatto, finché il fisico ha tenuto, problemi non ce ne sono stati. Complice Kohlschreiber, che ha un gran bel rovescio e la leggerezza dei maestrini di una volta, e che ha cercato di affrettare i tempi, ricavandone un bel po’ di errori di misura. E quando il tedesco ha tentato altre sortite, Nole ha risposto con una velocità che lo faceva sembrare motorizzato, rispetto all’altro, ordinario pedone.
Tutto questo avveniva sul “vecchio” Louis Armstrong, dunque il campo di riserva. Che Djokovic ha accettato obtorto collo, dato che il Centrale era riservato al match principale, secondo il forzato punto di vista degli organizzatori americani, che dopo aver farcito i tabelloni di speranze (12 in campo maschile, 17 in quello femminile) si sono ritrovati dopo la prima settimana appesi alle gambone di Serena. E hanno pensato bene di darle tutto lo spazio necessario, a cominciare dal prologo con la Pennetta, prossima avversaria.
Ma in fondo, l’Armstrong ha anche i suoi privilegi. Ribassato com’è ora (anni addietro era più alto di una dozzina di metri), è un campo che permette ancora a qualche refolo di farsi sentire. Peggio, molto peggio l’Arthur Ashe, un catino profondo con un cuore di cemento ustionante. Così, Djokovic alla fine è sopravvissuto all’unico vero pericolo di questa giornata, che era fisico e non certo tennistico. Ha inserito il pilota automatico su velocità di crociera meno spericolate di quelle del primo set e si è riservato di aggiungere quel tanto di più solo nelle situazioni di maggior pericolo. Una in particolare, giunta sotto forma di una palla break sul 5-4 per Kohlschreiber nel secondo set, che valeva anche la parità. Lì, con un gran rovescio, Djoko si è preso il punto e un bel pezzo dell’anima del povero tedesco, rimasto come fulminato dall’occasione persa, al punto da mollare rapidamente il secondo set e andare subito sotto di un break nel terzo.
Partita finita, o quasi… Fatto il break, Djoko ha giocato i suoi game, nell’ultimo set, e ha lasciato che Kohlschreiber giocasse i suoi. Non è stato un bel vedere, ma era quello che serviva: 61 75 64, con la chiosa al secondo match point.
Conclusioni doverose… Se ancora pensate che Nole non abbia voglia di prendersi questi Open, sbagliereste di grosso. Che nei quarti possa trovare qualcuno più in forma di lui (Tsonga, Murray…), è possibile. Ma dopo aver accettato la retrocessione sull’Armstrong, difficile che gli neghino una rinfrescante notturna per il prossimo match. E se fossimo in lui, noi la chiederemmo.