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27 Ago 2014 11:00 - La parola del Direttore
US Open. Kyrgios contro Seppi, gli opposti che si incontrano
di Daniele Azzolini
TENNIS – US OPEN – dal nostro inviato DANIELE AZZOLINI – Da una parte Un ragazzo australiano di famiglia metà greca e metà malese, esperto di body language e a suo agio anche davanti a un microfono; dall’altra un veterano nato sulle nevi del Friuli che per gli ultimi anni della carriera ha sentito forte l’impulso di allenarsi in riva al mare.
I numeri uno che verranno, annunciano già oggi un futuro di 360 gradi capovolto rispetto all’attuale, sempre che sia esatta l’equazione secondo cui Belinda Bencic sta a Serena Williams, come Nick Kyrgios a Novak Djokovic.
La stirpe dei molto forti non dà frutti sempre uguali, ed è un bene che nel dna dei dominanti vi siano codici in grado di garantire alternative diverse. Fosse per certi maestri i prodotti finali sarebbero tutti la fotocopia del prototipo prescelto, ma per fortuna Madre Natura lavora secondo prospettive ben più ampie e multiformi. Così, la giovane Belinda, diciassette anni di puro talento, si ascrive a una cordata antitetica, per natura tecnica e comportamentale, a quella ancor oggi presieduta da Serena, e non è difficile prevedere un futuro vertice femminile di molti e duri colpi ma di gesti più trattenuti, per non dire decisamente meno detonanti.
E anche Nick, che si dedica al pubblico con la stessa passione con cui impone il corpo a corpo agli avversari, appare differente da ognuno degli ultimi numeri uno. Ogni colpo vincente è motivo di auto celebrazione, e fin qui niente di nuovo, Djokovic e ancor più Nadal hanno tracciato la strada. Ma Kyrgios va oltre, trasferendo la richiesta di sostegno alla tribuna intera, quasi che fra quegli spettatori cui lui si rivolge chiamandoli a correo, non vi fossero tifosi del suo oppositore, ma solo i suoi.
Diciannove anni e una fisicità a dir poco deflagrante, servizi come mattonate, e un bel po’ di faccia tosta che lo porta a giocare sulla riga di fondo. Diverso da Federer, il bimbone, ma l’unico che si permetta di fare altrettanto. Superato Youzhny con due set colti in progressione e uno, il quarto del match, recuperato da un break sotto, con un ritorno di grande carattere che lo ha portato a trangugiare il tie break con famelica avidità, Kyrgios sarà il prossimo avversario di Andreas Seppi.
Due opposti che si incontrano. Un ragazzo australiano di famiglia metà greca e metà malese, da una parte, esperto di body language e a suo agio anche davanti a un microfono, che affronta per lo più con espressione seria e compunta, riservandosi un’alzata di sopracciglio quando le domande gli sembrano banali o poco pertinenti; dall’altra un veterano nato sulle nevi del Friuli che per gli ultimi anni della carriera ha sentito forte l’impulso di allenarsi in riva al mare. Ma la natura montanara di Seppi ancora prevale, nella visione d’assieme che il nostro ha del tennis. E se provate a chiedergli quanto sia disposto a sopportare, delle scontate smanie auto celebrative di Kyrgios durante il match che li vedrà opposti, non crediamo vi sorprenderà la sua risposta: «Non me ne può fregare di meno… Solitamente nemmeno lo guardo il mio avversario, durante il match».
Al decimo anno da professionista, Seppi sembra aver fatto pace con il cemento dei tornei americani, in passato più volte definito come «infame» «obbrobrioso», persino «abietto». Ha raccolto qualche buon risultato lungo la strada che porta agli Us Open, compreso un quarto di finale a Winston Salem, e in questo primo turno ha tenuto a bada Stakhovsky, uno che se lo lasci fare ti gioca un punto a rete e l’altro pure. Seppi ha schermato il match, e l’ucraino è uscito presto di scena. «Magari non gioco sempre il colpo migliore, ma sono in fiducia», dice Andreas, che si ripromette di far giocare a Kyrgios molte palline in più di quante lui sia in grado di sopportare. Così, magari, «si tranquillizza un po’».