La parola del Direttore

Dibattito: quante fesserie su Fabio Fognini! Ma anche no…

 

TENNIS – ACE CREAM – Di DANIELE AZZOLINI – Un articolo del direttore Daniele Azzolini è diventato oggetto di dibattito, non solo sul web, ma anche fra i componenti della redazione. Capita, quando si parla di Fabio Fognini, talento discusso e discutibile del nostro tennis. Abbiamo pensato che il dibattito possa interessare anche i lettori, e abbiamo invitato i nostri giornalisti a esprimere la loro opinione.

Quante fesserie su Fabio Fognini!

di Daniele Azzolini

Mai sentite tante baggianate tutte assieme come sul Problema Fognini. Lo scrivo in maiuscolo, come vedete. Il “Problema”, tanto per dire che non lo sottovaluto affatto. Perché un problema c’è, questo appare chiaro, ma forse è il caso di intendersi, una volta per tutte, su quale sia il nocciolo della questione. Forse il fatto che Fognini è razzista perché ha dato dello zingaro di merda al suo avversario?

È questo il problema? Oppure che si comporta peggio di McEnroe? Che è sgarbato? O che nuoce alla rispettabilità dello sport italiano, e per questo merita di essere fermato? Ho letto anche questo, e avrei dato volentieri una capocciata al muro. Sono questi i problemi, o piuttosto che abbiamo di fronte un ragazzo, di grande talento, che va aiutato e consigliato nei modi giusti?

Mi chiedo se davvero qualcuno pensi che Fognini sia razzista… Frequenta da 15 anni uno spogliatoio dove convivono le etnie più diverse, e con esse condivide sgabelli, chiacchiere, scherzi e docce. Via, siate seri… Diverso è dire che gli è partita una frase stupida, la più stupida fra tutte. Una frase cieca, uscita dall’antro di una testa in subbuglio, che lui per primo ha l’obbligo di ritenere una cazzata di cui vergognarsi. Il tennis, lo sport, insegnano il rispetto per gli avversari. Fabio è venuto meno a questo, ed è giusto che faccia ammenda, prima di tutto con il suo avversario.

Ma il problema vero è quale sia il nemico che Fognini intende colpire, quando gli si spegne la luce dentro e dà in escandescenze. L’avversario? Il padre, che accusò pubblicamente a Monte-Carlo? Il suo coach? O piuttosto se stesso, reo di non essere in grado, ancora una volta, magari l’ennesima, di assumere quella dimensione che lui anela, quei connotati agognati del tennista perfetto che vuole essere, di giocatore in grado di cogliere occasioni e risultati, di esprimere il meglio di se stesso, di vincere “da bravo ragazzo”. Quale in fondo credo sia, basta farselo descrivere da chi gli sta vicino per averne la certezza.

Se è vera quest’ultima ipotesi, non è con il perbenismo che si va in aiuto dell’azzurro. E nemmeno con le critiche più aspre. A Wimbledon ho visto i suoi match stracarichi di supervisor, di arbitri, di amici dell’arbitro giunti per incoraggiare il poveretto sulla sedia che chissà che cosa avrebbe rischiato. Roba da matti. C’è di che affossare un giocatore… Proviamo invece ad avere rispetto per questo scontro tutto interno al ragazzo, una battaglia che Fabio non può ancora vincere, perché non ha le armi per farcela. E consigliamogli di lavorare con maggiore attenzione su se stesso, di leggere più libri, di aprire la sua mente. Forse, poco a poco, capirà
quali siano le priorità. E magari che l’aspetto più nobile non è dare vita a una figura che combaci con la perfezione agognata, ma il lavoro che si è disposti a fare per migliorarsi.

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Fognini, 3 punti per ripartire

di Enzo Cherici

Dunque il nostro Direttore ha scritto un pezzo (“Quante fesserie su Fabio Fognini”) che ha scatenato reazioni di senso opposto. Non solo tra gli appassionati, ma anche all’interno della nostra redazione. E questa già la trovo di per sé un’ottima notizia: una redazione che discute e si confronta è una redazione viva. Ripeto: ottima notizia.

Prima di esprimere la mia opinione sulla faccenda, credo sia doverosa una premessa: non conosco Fognini personalmente. Ritengo sia importante precisarlo, perché troppo spesso si leggono giudizi, anche seri, su persone, senza che si abbia una conoscenza approfondita delle stesse. Il mio è quindi un giudizio in un certo senso distaccato, di una persona che conosce il tennis e il suo ambiente, che sa quello che talvolta può succedere (ed è successo) in campo, ma che non conosce l’uomo Fabio Fognini.

Punto primo. Fognini è razzista? Io credo di no, ma sulla stregua di quanto precisato precedentemente, potrebbe anche esserlo. In effetti non lo so e, se posso permettermi, non m’interessa saperlo. Quello che so con certezza è che non può permettersi di bofonchiare contro un avversario “zingaro di merda”. Quindi, con altrettanta sicurezza, si può affermare che Fognini ha sbagliato. Cosa che sa benissimo anche lui, dal momento che s’è scusato con il suo avversario (mi auguro anche con una telefonata e non solo via Twitter).

Punto due. Esiste un problema-Fognini? Si, esiste. Innegabile. L’episodio citato in precedenza è solo l’ultimo della serie. Qui voglio ricordare solo titolo d’esempio la recita di Monte Carlo, quando se la prese addirittura con il padre, ripetendo all’infinito l’incomprensibile mantra “io ci metto la faccia” (ma cosa significa?).

Punto tre, l’ultimo. Esiste una soluzione? Si, esiste. O meglio, esisterebbe. E passa da quella che potremmo definire una presa d’atto, da parte dello stesso Fabio. Ed è questa la parte più difficile. Perché fin quando Fabio continuerà a negare il problema, continueranno periodicamente i suoi teatrini in campo e fuori (anche contro giornalisti che hanno la sola colpa di fare il proprio lavoro). Invece tutto sarebbe più semplice se lui ammettesse, prima di tutti con sé stesso, che un problema esiste. E che non gli resta più moltissimo tempo per risolverlo. Perché, occorre dirlo, Fognini ha ormai 27 anni e non è più un roockie al primo anno tra i Pro, quindi dovrebbe (dovrebbbe…) essere nel pieno della maturità sportiva. Una volta compreso questo (fondamntale) elemento, tutto verrebbe di conseguenza. Ma senza questa necessaria presa d’atto, temo dovremo rassegnarci a fare i conti con questo Fognini.

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Fognini il cerca guai

di Davide Bencini 

Ci sono giocatori di estro e giocatori folli. E oggi giorno, anche a causa degli encefalogrammi piatti (caratterialmente parlando) che popolano il circuito, si tende a spaccare il capello in quattro e a cercare a tutti i costi il folle di turno. Nel circuito serpeggia da anni un perbenismo che va al limite dell’ipocrisia, con sfumature di altissima banalità. E si confonde l’esagerazione (e a volte anche la maleducazione) con l’estro. In questo quadro è chiaro che se ti ritrovi tra le mani un giocatore di alta classifica che è perennemente sopra le righe (o ci si rotola sopra disperandosi come un ossesso), soprattutto giornalisticamente parlando, ne fai un mito. O un demonio. Secondo me con Fognini si esagera in due modi. Il primo è a dargli così tanto risalto a ogni sparata, e questo succede perché ormai i giocatori sono diventati tante mammolette; una volta uno come Fabio sarebbe stato semplicemente uno dei molti. Il secondo è che lo si fa a ogni piè sospinto cercando di farlo cambiare, senza capire che Fognini ormai non cambia più. Ormai il ragazzo ha 27 anni, non è più un verginello. Il suo carattere non lo scopriamo certo ora dalle sue u
scite. Manca di rispetto a giornalisti, staff, risponde male 9 volte su dieci e quando perde sembra quasi che si senta in diritto di poter mandare in quel posto tutti, senza il minimo rispetto per chi fa il suo lavoro intervistandolo o anche per chi gli chiede un autografo. Il più delle volte lo si critica non perché perde, perché diciamoci la verità, perdere non è un dramma, capita a tutti; lo si critica perché dimostra con i suoi atteggiamenti, un modo di fare da ragazzino viziato che sta facendo un favore solo a stare in campo. A volte ammetto che mi ricorda Balotelli, che si crede sempre di avere ragione in tutto quello che fa, convinto che poi il mondo ce l’abbia con lui.

Il ragazzo non è che non voglia crescere: semplicemente forse ha un limite nella disciplina e nell’autocontrollo che non avrà mai. E solo lui può cambiarsi, c’è poco da fare. E probabilmente non sarebbe più Fabio Fognini, ma uno dei tanti bradipi del circuito che quando sono intervistati sorridono perché sono felici di aver capito la domanda.

Mi ricorda, in campo, quando impazzisce, l’Ivanisevic più smaliziato e incontrollabile; ma almeno Ivanisevic fuori dal campo era simpatico e tornava un ragazzo alla mano che non si negava a nessuno. Senza contare che poi Goran, o altri folli come lui, qualcosa di importante lo hanno vinto, senza togliere niente a Fabio che può tranquillamente, per chi scrive, vincere tutto ciò che vuole. Il fatto è che Fognini cade nei tranelli del suo cervello dei quali non si rende conto nemmeno lui (vedi l’insulto razzista a Krajinovic): lo pensa? Ma sicuramente no, anche perché il serbo lo conosce da una vita. Fabio secondo me semplicemente “non drena”… Tutto quello che pensa gli va giù senza filtri, come se al mondo esistesse solo lui, finendo per sembrare non quello che ci fa, ma che ci è.

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Un augurio, le gioie dell’anonimato

di Riccardo Nuziale

Questa vicenda mi ha fatto ricordare quel delizioso romanzetto di Alan Bennett in cui la regina Elisabetta, quasi per caso, scopre un oggetto alieno: il libro. Da quel momento l’epidemia di pagine divorate dalla regina affamata di lettura, tutt’intenta a recuperare il tempo perduto, non trova fine. A un certo punto l’anziana monarca si trova a porsi una domanda di sapore confessionale: perché i libri l’hanno assorbita così tanto? Perché quegli oggetti di cui ha potuto fare a meno per una vita intera, ora le sono indispensabili? Elisabetta trova la risposta piuttosto velocemente: i libri non la considerano. Nei libri può nascondersi. Passata un’esistenza in cui ha sentito addosso a sé occhi di giudizio riverente ed eccezionale (nel bene o nel male), ora può assaporare il silenzio. I libri non giudicano nessuno, semplicemente esistono. Che li si apra o meno. Sono sempre lì, non sentono il bisogno di essere considerati e non hanno la minima intenzione di considerare. Tra le pagine di un libro è una persona qualsiasi. È anonima. Nessun muro divisorio tra lei e gli altri.

Nella vicenda in questione il libro e la lettura non devono affatto trovar spazio; figurarsi, come se ci fosse ancora qualcuno che crede alla cultura come tramite di crescita umana e morale, come se ci fosse ancora qualcuno che giudica gli sportivi in base alla loro preparazione culturale, quando tutto ciò che è loro chiesto sta nell’eccellere nella propria disciplina.

Ma ecco, a Fognini auguro di scoprire un giorno le gioie dell’anonimato.

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Fognini e il rischio dell’etichetta eterna

di Rossana Capobianco

Un giocatore di tennis professionista gioca solo per sé: sia chiaro a tutti, non deve nulla a nessuno. Più vince, più guadagna, più impreziosisce la propria carriera.

Fabio Fognini è un giocatore di talento: basta guardare la facilità con la quale colpisce la palla. Tra gli italiani è senza dubbio il giocatore con potenzialità (al momento anche sfruttate) di gran lunga superiori.

L’atteggiamento di Fabio è però senza dubbio quanto meno discutibile: non è l’essere irascibile fine a se stesso, centinaia di tennisti rompono racchette e bestemmiano contro loro stessi. Tra l’essere irascibile ed essere maleducato però passa un filo sottile che non è esattamente chiaro a tutti, men che meno a lui.

Il prendersela con se stesso, nei limiti del consentito, è naturale e chi ha giocato a tennis sa anche inevitabile: Safin, Federer, Ivanisevic, Baghdatis, molti grandi o medi giocatori hanno sperimentato in campo questa rabbia dovuta alla difficoltà di accettare l’errore. Quando si va oltre e si inizia ad offendere arbitro, trattare male giudici di linea o raccattapalle, usare epiteti che magari non si posseggono nelle proprie convinzioni ma che si utilizzano con superficialità, come quelli razzisti, il discorso cambia.

Perché se è vero che il tennis ti permette di giocare da professionista solo per te stesso, altrettanto vero è che un professionista deve cercare di comportarsi in maniera professionale. Se viola delle regole, paga. E non c’è bisogno che per questo ci si senta perseguitati.

Ecco questa è forse la peggiore abitudine di Fabio Fognini: le manie di persecuzioni. Gli stupidi, gli accusatori li troverà ovunque, inevitabilmente. Sei esposto mediaticamente, non c’è scampo. Andare a cercarseli sui social network appena dopo una sconfitta è alimentare questa convinzione di persecuzione che sinceramente a 27 anni appare abbastanza infantile. Senza contare il fatto che poi va ad alimentare una rabbia espressa in campo non solo contro se stessi. Un circolo vizioso che da qualche parte bisogna fermare.

Altrimenti Fognini non verrà mai ricordato per il proprio talento, solo per multe e atteggiamenti non proprio professionali. Quando Federer disse di aver capito di fare qualcosa che andava contro le proprie ambizioni, ammise: «Mi sono detto: voglio essere ricordato per come gioco o per quanto sia stupido in campo? La risposta fu semplice». Provaci, Fabio.

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Daniele Azzolini

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Daniele Azzolini

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