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22 Gen 2014 14:00 - La parola del Direttore
Australian Open: Federer, lettera all’amico risanato
di Daniele Azzolini
Dall’inviato a Melbourne, Daniele Azzolini
Si ricomincia, e non vedevamo l’ora di ricominciare. Federer è ancora fra noi. Un po’ scordarello, data l’età, incurante che un Murray, sia pure a scartamento ridotto, è capace di un fitto fuoco di sbarramento, e dunque non conviene farsi trovare senza riparo quando piovono proiettili. Ma di gamba ancora buonissima. E di colpi raffinati, ché quelli non se lì è certo dimenticati, il nostro. Semplicemente, non poteva riproporli nelle forme desiderate, e compiute. Come ha ripreso a fare in queste giornate australiane, che lo vedono slalomeggiare felice fra i top ten.
A noi tanto basta. E davvero non avvertiamo alcuna urgenza di esplorare come potrà essere la nuova semifinale con Nadal, quanto sia favorito lo spagnolo, e se oggi Federer sia in grado di giocare alla pari con Rafa, almeno a tratti, e di rendergli la vita dura. Di nuovo dura…
Interessa solo che il tennis non lo abbia ancora perduto. E che continui, grazie alla sua presenza, l’eterno gioco delle sofferenze degli appassionati, indicibili come sempre, per quanto rispuntate dal nulla, recuperate in qualche recesso della memoria; il via vai dei gesti liberatori che seguono i suoi colpi migliori, anche da parte di insospettabili signori che mai li sogneresti con una racchetta in mano. Importa che riprenda inesausto il gioco delle scaramanzie, dei gesti anti sfiga. Dei “lo sapevo” quando i primi due match point sono stati affossati nel nulla, dei “non vuole farci andare a letto”, dei “guarda, sta di nuovo provando a perdere la partita”. E poi le mille domande, su tutte quelle su come se la giocherà contro Nadal, e se ha capito che non deve fare questo e quello, che deve attaccare così e cosà, che non gli deve dare una palla uguale all’altra. Questo è ciò che vogliamo da Federer, e che lui sta di nuovo per darci. Vogliamo partecipare anche a noi, con lui, e giocare a tennis, sia pure soltanto un tennis parlato. Lo vogliamo fare nel nome di un giocatore talmente grande da poterci permettere anche di maltrattarlo, e rivendicare poi l’amorevolezza di quelle ingiurie… «Accidenti a te svizzero del piffero, ma non potevi fare l’orologiaio o il cioccolataio, che così si soffriva tutti meno?».
Dite che noi giornalisti dovremmo essere fuori da questo patchwork di sentimenti? Sì, teoricamente… Ma è un fatto. Per questa vittoria di Federer su Murray abbiamo ricevuto, in ordine casuale, due strette di mano, un bacio sulla guancia da parte di un collega, sei pacche sulle spalle accompagnate da un «eh?» che significa tutto e niente, seguito però da uno guardo allusivo che, invece, dice molte cose e dovrebbe ricordarci come solo lui possa inventare giocate così belle. Persino una strusciata di mano sulle spalle, ci è toccata in sorte, manco avessimo la gobba. Abbiamo reagito… Ma che cappero fai? Eh, hai visto mai, è stata la risposta.
Si ricomincia, e non vedevamo l’ora di ricominciare. Le finali rissa saranno pure belle, ma a noi piacciono di più gli stranguglioni allo stomaco che ci procura lo svizzero redivivo. Siamo masochisti, lo ammettiamo. Ci piace soffrire, smaniare, rimestare, dire stronzate, smoccolare, inveire, esultare, e da capo, soffrire, smaniare, smaniare, smaniare. Cazzo se ci piace. Bentornato, Roger!