L’evoluzione del doping non si arresta mai: le nuove frontiere sono quelle di proteine e molecole che agiscono sulle cellule; il cosiddetto doping genetico. Basterà il Passaporto biologico che la Wada sta mettendo a punto nel tennis per difendersi?
Ormone della crescita: ve lo ricordate? Gli appassionati di tennis lo associano a Odesnik (!).
Sì, l’americano allora allenato da Canas che fu beccato in aeroporto con tanto di contenitore per portarselo dietro. Aggiornato, Odesnik; non troppo furbo.
Ebbene, dopo tre anni, l’ormone della crescita è già ben superato. No, non soltanto emotrasfusioni, il doping va avanti, si aggiorna, così come si evolve la medicina, di pari passo. Basta farsi un giro mirato per la rete e si trova di tutto, a riguardo.
A inizio 2013 è iniziata a circolare la notizia, negli ambienti medici e sportivi, della creazione di un prodotto perfino più potente. L’ormone della crescita stimola la produzione dei globuli rossi nel sangue e migliora dunque le prestazioni (specie quelle di resistenza). Questo altro nuovo prodotto non è che una proteina, battezzata ACE-011, ottenuta con un processo biotecnologico da un’azienda americana del New Jersey.
Naturalmente lo scopo di questa creazione è positivo: questa proteina serve come strumento per la cura di tumori alle ossa, osteoporosi, anemie gravi che abbisognano di trapianto di midollo osseo. Testata e sempre più consigliata in ambito medico, naturalmente gli ambienti sportivi ne sono rimasti “affascinati”.
Oltre a questi effetti benefici, però, la proteina stimola la produzione dei globuli rossi nel sangue molto più velocemente dell’EPO e dell’ormone della crescita. Senza entrare nei dettagli medici che né la sottoscritta né la maggior parte dei lettori riuscirebbe a comprendere adeguatamente, vengono attivati determinati geni e contemporaneamente attivata l’eritropoiesi (produzione di globuli rossi nel sangue, appunto). Ci troviamo quindi di fronte ad una concreta forma di doping genetico.
La proteina rimane nel corpo ben più a lungo del vecchio EPO e agisce pure più rapidamente. Vari esperti medici si sono dunque augurati che la Wada richiedesse gli strumenti adatti a poter mettere a punto dei test pronti a rilevarne l’eventuale presenza nel sangue degli atleti. La Wada, nel frattempo, ha lanciato l’allarme per un’altra molecola presente sul “mercato”, la gw501516, dagli effetti parecchio tossici e difficilmente rintracciabile con gli attuali test. Quali sono dunque le difese che lo sport in generale e il tennis nello specifico possono mettere in pratica di fronte a questo doping del futuro? Il tennis (così come il calcio), in questo senso hanno fatto davvero poco fin qui, sebbene l’ambiente tennistico, anche grazie alle “denunce” di alcuni giocatori sui pochi controlli ematici, si sia svegliato e abbia dato il via ad un progetto teoricamente serio.
La “debolezza” di queste molecole, proteine e nuovi prodotti è appunto quella di rimanere più a lungo all’interno dell’organismo: debolezza però irrilevante se la continua evoluzione dell’affinamento di questi prodotti non permette poi dei test capaci di rilevarli.
La vera difesa (o comunque una più seria) è quella del passaporto biologico, introdotto nel circuito tennistico da poco e in realtà non ancora esattamente “attivo”. Andy Murray proprio in occasione degli US Open a New York ha fatto sapere di aver effettuato i prelievi che serviranno alla Wada per costituire il suo passaporto. Prelievo arrivato dopo mesi dalla decisione dell’introduzione di questa misura. Come funziona?
In pratica altro non è che il tracciamento nel tempo dei parametri ematici dell’atleta. E’ dunque una tecnica non diretta, ovvero non rintraccia il farmaco dopante, ma individua gli effetti anomali nel sangue che esso può apportare rispetto anche ai precedenti parametri nell’atleta; ovviamente si tratta soltanto di quei farmaci che alterano il sangue (eritropoietina e CERA, attivatore del recettore dell’eritropoietina) e per le altre sostanze ci vorrà sempre il controllo incrociato sangue/urine.
Naturalmente l’investimento in questo senso è difficile e oneroso, ma il tennis pare avere intrapreso questa strada e averla iniziata, seppur in maniera parecchio lenta. Si spera che tutto questo basti, in un panorama sportivo che vede due corsi paralleli: accelerazione del ritmo agonistico ed evoluzione di strumenti per barare. La sensibilizzazione è compito di tutti: dei dirigenti, dei giocatori, di tutti gli addetti ai lavori, di chi scrive di questo sport e vuole preservarlo da degenerazioni che spesso abbiamo visto anche altrove. L’informazione è potere. E in fondo, malgrado tutti i soldi e gli interessi, lo sport rimane sport. Lo vogliamo trasparente.
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