Ha una naturale magnificenza, Venus Williams. Una disposizione personale che la rende lontana dalle altre, irraggiungibile, quasi intoccabile. Un modo di giocare che tende a escludere le avversarie, e finisce per opporla solo a se stessa: le sue voglie contro il suo stato d’animo, il servizio che va contro il dritto che d’improvviso sparisce, gli scambi su ritmi impossibili contro gli errori che fanno sussultare il pubblico. Non sa fare nemmeno gli occhi cattivi, Venere. E non ha quasi niente della sorella, che pure è stata lei a instradare verso una carriera ben più vittoriosa della sua, lei a farle da mamma quando l’altra, magari per capriccio, avrebbe volentieri fatto il contrario di ciò che le veniva chiesto. Ha uno sguardo che va lontano, l’altissima nera, non arrendevole ma bonario, morbido. Uno sguardo da Madre Superiora.

Magnifica persino nelle sviste, negli abbagli più clamorosi. Nessun’altra sa sbagliare come lei… Sul tre a due del primo, contro Sara Errani, un break avanti, eccola restituire tutto in dieci secondi appena, ma senza smaniare, senza sottolineare l’errore con un qualsiasi gesto che fosse d’impazienza o di auto rimprovero. È al servizio, Venus, e conduce lo scambio senza preoccuparsi di che cosa stia facendo Sara, dall’altra parte. È imperiosa, la nera, e su una sua roncolata di rovescio l’azzurra rimedia come può, alzando un pallonetto sghembo. Su quello Venus può scegliere di fare mille cose, e novecentonovantanove le avrebbero dato il punto. Fa l’unica cosa sbagliata: si avventa sulla palla per colpirla al volo, con uno schiaffo di dritto, senza preoccuparsi che quella si contorcesse nell’aria pronta a schizzare chissà dove. Le va addosso, di fatto, e le imprime tutta la forza possibile. Ne sorte un’orribile ciccata… La pallina non finisce nemmeno in rete, no, si schianta mezzo metro prima. Venus nemmeno se la prende. Va subito a servire, accetta tre scambi e sul quarto allunga la palla. Di un centimetro? Di dieci? Di cinquanta? Non sarebbe lei. Venus caccia la pallina fuori di tre metri. Break di Sara, match di nuovo in equilibrio, tre pari.

E poi? E poi Venus non ha sbagliato più. Così, come se niente fosse. Ha costruito un match perfetto, grondante pallettoni pesanti come bilie di ferro, riuscendo a non far toccare palla alla Errani, rimbalzandola per il campo come in un flipper. Stretta di mano, tenero sorriso verso il pubblico. «Invecchiando ho imparato a giocare match molto diversi fra loro, a cavarmela in ogni tipo di difficoltà». Bugiarda… Magnifica, spregiudicata impostora. Gioca come ha sempre giocato, anzi, gioca lei e basta. Le altre, al più, le fanno da raccattapalle.

Peccato che le mille attività collaterali della sua vita stravissuta l’abbiano condotta spesso ai margini del tennis. Peccato. Venus sarebbe stata campionessa più desiderabile di Serena, il pubblico l’avrebbe sposata ed eletta a immortale. Ma lei voleva altro e quello è andata cercando. La sontuosità del suo tennis, il lusso di certi suoi colpi, si sono sposati ad altri propositi, trasformandola in donna manager, in imprenditrice facoltosa. Una donna felice, forse. Ma una tennista in qualche modo incompiuta.

Non occorrevano particolari doti divinatorie per comprendere che Flavia Pennetta stava meglio di tutte le azzurre. Proprio lei, costretta al ritiro a Roma, poi di nuovo soggiogata dalla Kerber al Roland Garros, infine schiantata dalla Giorgi a Wimbledon. È sulla strada del buon ritorno, lo si è intuito già in primo turno, perché venire a capo della Cirstea non è mai facile e lei lo ha fatto in un terzo set comandato nel gioco e nelle intenzioni. Lo stesso ieri, contro un’avversaria, la Pironkova, più avveduta su questo tipo di superficie, anche se carente sul lato delle iniziative, che nel suo tennis di fatto non esistono. Una però giunta in semifinale, su questi campi, due Championships fa, e dunque validissimo test. Ne è sortito un match equilibrato fino al 5 pari del primo set. Lì Flavia ha sfondato le difese della bulgara, ed è stata brava a prendere il largo e a condurre lei il gioco. Precisa, robusta… Doti ritrovate, che serviranno non poco contro una Kvitova imprevedibile, eppure non in formissima, e tendente allo spreco (il match di oggi con la Peng ne è stato, a dir poco, l’epitome).

Le altre sono fuori. Francesca che molto si era “allargata” sulle sue voglie olimpiche ha rimediato la solita sconfitta con la Zvonareva, una che non riesce a battere nemmeno quando sta a pezzi, come di questi tempi. Doppio 6-3, e undicesima sconfitta della Schiavone con la russa.

Della Errani s’è detto. Di Federer potremmo dire che, ottenuto subito il break, ha riportato Benneteau (proprio lui, il francese che lo aveva costretto al quinto agli ultimi Championships) alla dimensione di… Benneteau. Di Seppi, invece, che ha sprecato moltissimo in avvio contro Del Potro: sei palle break per ritrovarsi 3-1 sotto nel primo set. Un match comunque combattuto e discretamente giocato dall’azzurro, poi protagonista con Bracciali di un doppio molto ben giocato contro la coppia ceka, Berdych e Stepanek.

Daniele Azzolini

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