Li conosco, i due, sin troppo bene. La nascita di Matchpoint, nel 2002, la rivista di cui questo sito è la costola più preziosa, coincise con l’avvento di Federer, e da lì a due anni, eccoci a scrivere, a godere e a stupire dell’avvento di Nadal, e della nascita di una delle rivalità più pregiate che si siano mai viste nello sport, in senso assoluto. Così, sono undici anni che li seguo, da vicino, per motivi professionali. E li conosco così bene che so, quasi sempre, che cosa stia per accadere. Nella testa dei due, intendo, non tanto nei colpi, ché quelli vengono talmente di getto che davvero non si possono prevedere. So che cosa significano certi gesti di Nadal, certi sguardi da sotto in su che spedisce a occhi stretti, nemmeno avesse un laser, e immagino che cosa stia per succedere quando lo vedo accennare ai primi passi delle sue focose danze, quando sta montando in testa all’avversario, e ora gli si è attaccato ai glutei, ora lo tiene bloccato per la schiena, ed eccolo che gli è finito sulle spalle, e lo domina. Rafa va in accelerazione, anche con i suoi tic, i suoi pugni, i suoi auto incitamenti, proprio come va in accelerazione con il suo tennis. E so bene anche quello che passa per la testa di Federer, quando è concentrato e non ha paura, quando ai punti più incredibili reagisce con calma, quasi dandoli per scontati. Ma so anche quali siano gli sguardi che ne annunciano i primi smarrimenti. Allo stesso modo in cui comprendo lo stato d’animo di Nadal quando le cose vanno meno bene. Vi sono segnali precisi, persino banali. Fateci caso, quando è sotto pressione, Rafa suda al punto da costringere Roger a chiedere l’intervento di uno straccio che ripulisca, pietoso, quel lago di apprensioni. Ma quando le cose migliorano, ecco che Rafa smette persino di sudare.

Riguardandoli, ieri notte, nell’ennesima sfida, questo e altro mi passava per la testa. Oltre dieci anni sono passati, e sono qui, ancora una volta conquistato dai due. Osservo Federer che va avanti di un set, quasi imperioso, di nuovo perfetto. Ascolto i commenti allibiti di Raffaella, e per quanto la stimi, e le voglia bene, sono contento di non trovarmi del tutto in accordo con lei. Io so che Federer, quel Federer, che fa quei gesti e ha quello sguardo fisso sul  campo, è il Federer inviolabile che ho visto tante volte. E so che quel Federer può battere ancora chiunque, persino Nadal. Ma immagino anche che Roger, appena rientrato, abbia carburante per un set o due, forse meno e che se non coglierà l’occasione giusta nel secondo set, non ci sarà vittoria al terzo. Non contro di lui, contro Rafa… Eppure, con tutto quello che so, resto lì, ammaliato. Rivedo i colpi che ho visto altre volte, forse molte altre, e mi sento attratto e conquistato. Li guardo come si guarda il fuoco, che è sempre uguale eppure sempre differente, in movimento eterno dentro se stesso. Li guardo come ancora oggi guardo Mick Jagger, settantenne infinito. E Mick è il fuoco. Anche lui sempre uguale e sempre diverso.

Sapevo anche che Federer avrebbe perso. Mi dispiace, perché stavolta sarebbe stato giusto offrirgli quella vittoria in grado di rilanciarlo completamente, o forse, di lenire i suoi malesseri. Ma non è questa la prima cosa su cui rifletto, mentre vado a nanna. La prima è più semplice, più essenziale. Ho rivisto il tennis. Quel tennis che piace a me. Quello che piace a molti degli spasimanti di questo nostro sport. Non penso che Djokovic, Murray, e gli altri grandi non possano regalarmi altro bel tennis. Penso che quello, quel tennis, lo possano giocare solo quei due, Roger e Rafa. Ed è il tennis più bello che vi sia. Così bello che, me ne rendo conto solo ora, già mi mancava. E non lo vedevo da qualche mese appena.

 

 

Daniele Azzolini

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