Questo è un capitolo tratto dal libro del 2014 “Solo uno- Analisi di una rivalità”, scritto da Rossana Capobianco e Riccardo Nuziale Non lo riconosceremmo più, ormai, quel tennis. Quello riservato solo a pochi, quello che gli amici ti guardavano come fossi un extraterrestre quando confessavi di rimanere a casa per seguire la finale di […]
Aryna Sabalenka desiderava fortemente una serata come quella di ieri per prendersi una personale rivincita su tutto quanto successo un anno fa allo US Open. Dodici mesi fa, vivendo molto male la semifinale contro Madison Keys e poi mollando di testa la finale contro Coco Gauff, aveva aperto una ferita importante proseguita poi con il finale di stagione da incubo.
Uno dei suoi obiettivi dichiarati lo scorso anno non era tanto raggiungere il numero 1 del mondo durante la stagione, cosa comunque riuscita proprio dopo lo US Open, ma essere la prima della classe a fine stagione. Il concetto dietro queste parole per la tennista di Minsk era di completare una stagione da migliore di tutte ed essere premiata così del numero 1 come simbolo dell’ottimo lavoro svolto.
Quella finale contro Gauff ricordata soprattutto per il terzo set orribile giocato aveva lasciato il segnale peggiore: era una numero 1 vulnerabile. Un giudizio forse severo, ma con i parametri imposti dalle due leader prima di lei serviva un’altra cosa. Né Ashleigh Barty né Iga Swiatek avevano lasciato per strada qualcosa quando si trattava di finali e soprattutto finali importanti. L’australiana ha concluso la carriera imbattuta: 3/3 a livello Slam e in generale 8/11 dai ‘WTA 1000’ in su dove le vere sconfitte furono solo contro Sabalenka stessa a Madrid e Naomi Osaka a Pechino in due grandi partite. La polacca finora è 5/5 negli Slam e in generale 16/2 dai ‘1000’ in su. Sabalenka è 10/5. Al di là dei freddi numeri, aveva tanto bisogno quantomeno per far capire alle avversarie che per batterla sarebbe servito qualcosa di speciale. Chi in questi anni ha trovato di fronte a sé Iga in finale, sa da subito che per batterla serve qualcosa di extra. Non a caso la stessa Aryna per superarla (in una delle sole quattro sconfitte a tutti i livelli) ha dovuto faticare come una dannata.
Prese il numero 1 ma lo tenne appena otto settimane, non reggendo l’impatto con la nuova realtà, perdendosi tra le polemiche di Cancun e perdendo lo scontro diretto contro la polacca in semifinale. Dodici mesi dopo la trasferta nordamericana ha fornito un assist incredibile per una possibile doppia rivincita. La prima è giunta con una finale tirata, non ben gestita a livello di emozioni ma meritata perché superiore a Jessica Pegula. La seconda può essere più vicina di quanto sembra: sebbene la classifica ufficiale la veda oltre i 2000 punti da Swiatek nella Race il margine è ridottissimo, appena sopra i 400. Il secondo grande obiettivo sfuggitole proprio all’ultimo metro del 2023 è ora tornato alla sua portata, con la polacca apparsa in flessione di risultati dopo aver spremuto tantissimo le energie nella prima parte di stagione. Le due da ormai due anni si stanno dando battaglia serratissima spartendosi gran parte dei grandi tornei e con l’ultimo mese Aryna è tornata “sotto” avvicinandosi tantissimo.
Cinque titoli e una medaglia olimpica da una parte, tre titoli di cui due Slam dall’altra. Siamo a fine settembre e la corsa riparte praticamente da zero con almeno 3500 punti in ballo: Pechino (WTA 1000), Wuhan (WTA 1000) e le WTA Finals di Riyad che possono dare fino a 1500 punti. Sabalenka c’è, con quel mese di pausa forzata tra metà giugno e metà luglio per via dell’infortunio alla spalla sfruttamento al meglio per staccare un po’ dal tennis e recuperare energie molto utili ora. E intanto si gode il nuovo arrivato nella sua bacheca.