[1] C. Alcaraz b. [2] N. Djokovic 1-6 7-6(6) 6-1 3-6 6-4
C’era anche Andy Murray, in tribuna a certificare quella che forse è finalmente la fine della golden age del tennis open. Rimaneva Novak Djokovic, l’ultimo dei Fab4 highlander, che per un’altra 4 ore e mezza – 4 ore e 45 minuti per la precisione – si è illuso di avere un’altra possibilità di fermare il tempo. Ma di fronte a lui stavolta non c’erano solo tanti anni di differenza con l’avversario ma anche Carlos Alcaraz. Lo spagnolo, al suo secondo slam, non ha nemmeno avuto bisogno di giocare il suo miglior tennis per vincere una partita che è stata a lungo in bilico. Dopo aver pagato il tributo al tempio e ai suoi sacerdoti, Alcaraz ha finalmente cominciato quanto meno a mettere qualche palla in più in campo, era subito andato avanti di un break nel secondo game ma lì ha subìto quello che, col senno di poi, sarà l’ultimo acuto di Djokovic. Dopo aver recuperato lo svantaggio il campione uscente non riusciva più a impensierire il numero 1 del mondo in risposta, mentre al servizio si trovava in difficoltà sostanzialmente in ogni game. Era solo la cattiva giornata di Alcaraz in risposta sulle seconde che salvava il serbo, fino a portarlo al tiebreak. Poteva essere l’ultima occasione di Djokovic, che perdeva il mini break con un dropshot che non oltrepassava la rete e poi il set grazie ad una splendida risposta di rovescio di Carlitos sul set point.
Il match sembrava finito lì, perché nel terzo set Djokovic sembrava risentire improvvisamente del peso di tutti gli anni passati sui campi. Il serbo perdeva campo, se provava ad anticipare sbagliava regolarmente, se cercava di reggere lo scambio finiva per sbagliare. Il 6-1 pareva chiudere la discussione ma il terrore che incuteva Djokovic era palpabile tra gli spettatori, e dopo una lunga pausa tra il terzo e il quarto set, il serbo tornava con la mente prima e col corpo poi in partita. Alcaraz credeva forse di aver già chiuso il match, metteva meno attenzione sui propri turni di servizio e puntualmente veniva punito. Djokovic diventava anche più chirurgico al servizio e arrivava al quinto forse addirittura da favorito.
Ma Carlitos è campione vero, iniziava arrivando a palla break, era costretto ad annullarne una nel game successivo e nel terzo piazzava l’acuto decisivo. Da allora migliorava il livello di gioco di entrambi – piuttosto bassino nel resto del match – ma forse un po’ sorprendentemente Alcaraz non rischiava più sul proprio servizio, giocando un ultimo game semplicemente meraviglioso.
Alla fine lo stupore maggiore è che per una volta le cose sono andate come dovevano andare: il giovane fuoriclasse ha superato il vecchio campione. Djokovic a dire la verità era arrivato in finale anche in virtù di un tabellone abbastanza agevole, mentre Alcaraz ha sostanzialmente fatto fuori tutti i vari pretendenti e i giocatori più in forma. Era logico che finisse così, ma Djokovic – come prima di lui Federer e Nadal – ci aveva fatto credere che la logica, quando c’era lui in campo, era solo un’ipotesi. Tutto adesso è tornato nella normalità e si può dire che morta un’era ne nasce un’altra: quella di Carlitos Alcaraz.
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