Ora la Storia è nelle mani di Djokovic

La Storia è un 23 ricamato sulla tuta. È un momento d’abbandono nascosto sotto l’asciugamano

La Storia è un 23 ricamato sulla tuta. È un momento d’abbandono nascosto sotto l’asciugamano. È un titolo inseguito per anni, attraverso dieci semifinali giocate in ognuno degli Slam e ventitré finali vinte, che mettono alle spalle Nadal (22) e Federer (20). È la terza vittoria a Parigi, il torneo più difficile, per il quale vale la pena inginocchiarsi sulla terra rossa. La Storia è il ritorno al numero uno della classifica. Sono i volti di Giroud, Mbappè, Ibrahimovic che sembrano meravigliati di come il tennis offra tributi così intensi ai propri protagonisti. Sono i figli che non vedono l’ora di abbracciare il papà che vince. È Noah che gli consegna la Coppa, e ha ancora negli occhi l’entusiasmo di quando faceva impazzire la Francia, 40 anni fa. Ma la Storia è anche la voglia di continuare, per andare sempre oltre, chissà fino a dove. Al Grande Slam sfuggito due anni fa? Alle cento vittorie tonde nel Tour? Dai Nole, ne mancano appena sei.

La Storia del tennis da ieri è nelle mani di Djokovic, il caparbio Novak, il ragazzo che ha conosciuto le bombe della guerra e ha deciso di fare qualcosa che rendesse orgoglioso il proprio Paese. Ha i numeri del più forte, tutti. In tanti continueranno a pensare che il più grande sia stato Federer, il primo a vincere tutto il possibile. Altri resteranno convinti che in coppia, Federer e Nadal abbiano dato vita al quadro più intenso che questo sport potesse offrire. Ma lassù, tra i campi elisi del tennis c’è spazio per tutti e tre, perché sono stati Roger, Rafa e Nole insieme, a dare un volto pienamente internazionale al tennis.

Casper Ruud è stato avversario dignitoso, ha fatto quello che poteva sapendo che difficilmente sarebbe stato sufficiente. «Sei una delle persone migliori del circuito», gli dice Djokovic, che sottolinea l’importanza di tre finali negli ultimi cinque Slam, ma evita di pronosticargli chissà quali vittorie nel futuro. Forse anche Nole non è così convinto delle possibilità del norvegese, chissà… Se la cava con una battuta: «Ne batterai tanti di avversari. Basta che eviti di battere me». Ma da quello che si è visto, Nole non corre grandi pericoli.

Non è stata una gran finale, ma era il giorno di Nole, e il resto conta poco. A 36 anni il Djoker non sembra più quello di una volta, fatica, sbuffa e commette errori insoliti. Malgrado ciò, gli avversari di oggi, quelli giovani, e quelli un po’ meno, come Ruud che va per i 25, al suo cospetto sembrano aver fatto un passo indietro. Provano a farlo giocare male, e in taluni casi lui perfino gli accontenta. È successo anche ieri. In una finale che i tanti errori hanno fatto sembrare combattuta e aspra, se non addirittura aperta a qualsiasi ipotesi, l’errore più grande di Ruud, avanti 4-1 nel primo set, è stato quello di mettere da parte gli scambi più fitti con i quali aveva creato difficoltà crescenti al Djoker, per sfidarlo apertamente. Ne ha ricavato una gragnola di colpi sulla capa che la metà sarebbe bastata.

Superato lo scoglio di un primo set che mai si sarebbe permesso di giocare contro i suoi pari di un tempo (Federer, non ho dubbi, gli avrebbe concesso due game, Nadal manco quelli), Djokovic s’è preso un lungo toilet break e com’è solito fare ha valutato a dovere la situazione. Di certo si è tranquillizzato. Ha riposto in archivio il break disperso con un goffo smash, poi quello recuperato a Ruud su un altro smash (del norvegese stavolta) inguardabile, fino all’approdo del tie break con il match sempre sul filo, nel quale gli errori dell’uno non riuscivano ad approfittare degli errori dell’altro. Ma come spesso gli è capitato in questa stagione, nel “jeu decisif” Djokovic ha cambiato marcia e ha giocato come sa, facendo sparire letteralmente Ruud dal campo.

L’intontimento di Casper è durato il tempo di concedere a Djokovic anche il set successivo, costruito su un break ottenuto nel secondo game, e da lì il match si è ricomposto in una dimensione meno carica di apprensioni. Ruud ha ripreso ha lavorare pallettoni alti e un po’ banali, senza consentire a Djokovic di prendere del tutto in mano il gioco. Fino al 5 pari del terzo, quando Nole ha sistemato tutto con 7 punti di fila. Break e vittoria, la quinta su Casper che anche stavolta non è riuscito a sfilargli un set.

«Tengo molto al fatto che questo record abbia preso forma a Parigi. Ha rappresentato sempre la sfida più grande». Djokovic è questo. Non ha mai smesso di lanciare sfide. E non lo farà nemmeno ora che ha vinto tutto.

Dalla stessa categoria