Gianni Clerici e noi: ricordi e aneddoti della redazione

Un ricordo di Gianni Clerici della redazione di Oktennis. Perchè, alla fine, ogni appassionato ha in fondo un suo personale “Scriba”, conservato e da conservare

Ansaloni

Gianni Clerici ha scritto di tutti noi, appassionati di tennis, addetti ai lavori. Troppo facile dire che sì, certo, ha raccontato intere generazioni di giocatori e giocatrici, ma sarebbe riduttivo. In queste ore ho sentito e ho letto che molti si sono avvicinati al tennis grazie alle sue telecronache e a quelle di Rino, e mi sono chiesto in quanti altri sport sia successa una cosa del genere. Non mi è venuto in mente nessun altro esempio. Negli anni 80, 90, primi anni 2000, la gente, prima della partita e di chi la giocava, vedeva il tennis perchè al commento c’era la coppia Tommasi/Clerici. Questo per inquadrare di che cosa stiamo parlando, al netto della retorica che sempre accompagna le dipartite. Poi certo, era un genio della scrittura, con tutti i pregi e i difetti di chi ha quel tipo di dono. Credeva di essere più importante di chi quello sport lo giocava in campo, teoricamente protagonista: se lo poteva permettere e lo sapeva.

Non era uno sbruffone, tutt’altro, e non c’entra nemmeno l’essere sicuro di se. Lo capivo, lo capisco, perchè quando entrai per la prima volta nella sala stampa di un torneo, Roma 2007, andai subito a vedere se per caso c’erano lui e Rino, per farmi una foto con loro. Quando la tv dove lavoravano decise di fare a meno della coppia al commento, ormai parecchi anni fa, feci un pezzo dove scrissi che era una follia e che non era giusto. Ero arrabbiato, così arrabbiato, come milioni di altre persone. Finì che mi chiamarono entrambi al telefono, per ringraziarmi. Imbarazzatissimo fui io a ringraziare loro. Ovviamente. “Questo è il mio numero, non lo dare a nessuno però, sennò mi scocciano”, mi disse Gianni. Ce l’ho ancora. Purtroppo non mi servirà più. Mi rimane la fortuna di sentire e leggere dei giganti, di aver vissuto nella loro epoca. Che oggi più che mai, salutiamo.

Bartolozzi

L’ho conosciuto tardi, Gianni, ma è stato un grande privilegio passare del tempo con lui, dentro e fuori la sala stampa. Lo ricordo come un gran signore, gentilissimo con me, attratto dal fatto che quando ho iniziato a fare l’inviato non ero certo di primo pelo. Mi mancherà.

Salerno

Una volta al Roland Garros mi venne a trovare un mio amico al quale avevo procurato un paio di biglietti per il ground, uno dei pochi privilegi degli inviati. Cominciai a portarlo a spasso per campi e viali, cominciando la solita litania: “lì c’è il Lenglen; lì fecero una partita incredibile che mi ricordo solo io; qui c’è la sala interviste, tra un po’ dovrebbe arrivare Federer” eccetera. Si guardava in giro perplesso e alla fine sbottò_ “va tutto bene Robbè, ma ndo sta Clerici?” Glielo presentai dicendo “sai Gianni, è venuto solo per te praticamente” e gli regalo uno di quei suoi “ma pensa” col quale attraversava soave le discussioni noiose e le lusinghe eccessive.

Tra cinque anni o domani, non ne sapremo nulla ma ci fu un tempo in cui Federer, Nadal e Djokovic furono meno interessanti di un giornalista italiano.

Capobianco

Potrei raccontare degli aneddoti esilaranti di Gianni, da quando una volta arrivò a Wimbledon, qualche mese dopo il voto sulla Brexit, con il cappellino dell’Unione Europea: proprio quell’anno riceveva il premio alla carriera dall’AELTC, ma rimase comunque non servile; potrei raccontare della prima volta che lo conobbi, al Foro Italico per la presentazione di un libro durante il torneo, mi presentai: “Salve, sono Rossana Capobianco, una sua grande ammiratrice”. E mi rispose: “Io sono Gianni Clerici e sono un vecchio porco”, con un sorriso dolce che non aveva bisogno di altre parole per presentare la sua battuta come scherno, dissacrazione, rompere il ghiaccio in maniera definitiva. Potrei raccontare delle ore passate davanti alla TV a sentire lui e Rino raccontarmi il mio sport preferito trattandolo come la cosa più importante al mondo e al tempo stesso farlo con una leggerezza, una grazia e una competenza che oggi sono fuori moda.Ma mi piace soprattutto ricordarlo disponibile, grato, per quelle volte in cui ebbi l’onore di poterlo aiutare in qualcosa. Un’istituzione ma una persona con la quale puoi parlare sempre. È così che lo ricordo, una sorpresa.

Piva

Wimbledon (e dove altrimenti) 2005. La nostra Vinci contro Clijsters, “cosa può fare la nostra Robertina contro questa azdora vallone”. Le prime parole che ho sentito in diretta proferite da Gianni Clerici, in coppia con l’inseparabile Rino Tommasi. Poi si passò sul Centrale e comparve Roger Federer, “e va beh”. U’esclamazione apparentemente banale, ma pronunciata da Gianni con quella sua cadenza così particolare da renderà intrisa di significato per gli appassionati di tennis, non serviva aggiungere altro.

Fu amore a primo ascolto, per il tennis e per la coppia di telecronisti più iconica del nostro sport. Quel modo di raccontare il tennis romanzato e un po’ condito, inusuale, così discostato dalla fredda cronaca, mi rapì subito. Da lì non ho più potuto farne a meno. Perché lo scriba non sapeva solo raccontare il tennis, lo conosceva a menadito, intratteneva, sapeva trasportarti in una dimensione quasi onirica e tu non potevi far altro che rimanere incantato davanti alla tv (anche se in campo c’era un match di evidente infima qualità) e con gli occhi incollati alle sue parole impresse sulla carta stampata. Unico e inimitabile.

Barbiani

Ho avuto la fortuna di essere parte di una delle ultime generazioni che ha scoperto il tennis grazie (anche) alla voce di Gianni, e i tanti pomeriggi passati guardando Wimbledon e ascoltando aneddoti, storie, tutte con estrema leggerezza. Quando poi un giorno me lo sono trovato di fronte, con la fortuna di scambiarci pareri e consigli, ho trovato una persona che tradiva quell’immagine che mi ero costruito di lui comunque su un piedistallo a distribuire conoscenze e ho trovato una scherzosa, autoironica, e che aveva sempre una parola buona, un buongiorno, una battuta. Una figura di riferimento come poche per tantissimi di noi.

Vassallo

Gianni Clerici è stato mio “compagno di banco” in sala stampa al Roland Garros 2016. Io ero alla prima esperienza in un evento così importante, lui era lo Scriba, era Dio. Eppure mi trattava come fossi un suo amico di vecchia data. Gentilezza e simpatia persino superiori alla sua infinita bravura. Buon viaggio Maestro, è stato un onore.

Di Caprio

Nove anni fa mettevo piede per la prima volta in una sala stampa. Tanta la fortuna ad averlo avuto come “compagno di banco”, altrettanta l’emozione. Lui era curioso di capire chi fossi, scherzava sulla differenza d’età e parlava del meteo. Fu una tre giorni di Coppa Davis da sogno. Ciao Maestro.

De Laurentis

Se mi sono innamorato del tennis è stato anche grazie a lui, al suo racconto in diretta, o scritto, capace di trasformare persino una brutta partita nel capitolo di un romanzo, che continuava a quella successiva, con tutti i suoi aneddoti e le sue definizioni. Da “viviamo tempi di bassi arrotini” all’area vip di Monte Carlo, very important pigs. Un amico senza conoscerlo sin dall’adolescenza, compagno di tante notti di US Open, mattine di Australian Open, e pomeriggi a sognare di avere la mano fatata per giocare sull’erba del Centre Court di Wimbledon. È stato inserito nella Hall of Fame dell All England Club, resterà in quella di tutti noi. Le sue telecronache in coppia con Rino Tommasi hanno reso il tennis meglio di qualunque serie Tv. Buon viaggio “scriba”, come amava definirsi, chissà come racconterai il tennis lassù o dovunque sia. 

Consolo

“Gianni Clerici è stato e sarà per sempre un fuoriclasse del giornalismo.
Da “Scriba” si è messo al servizio del tennis, trasmettendone la storia ai posteri. Da Maestro è stato il punto di riferimento di giornalisti e semplici appassionati di sport da cui tutt’oggi è considerato, insieme a Rino Tommasi, la voce del tennis.
Penna raffinatissima e voce inconfondibile, la leggerezza e la grazia con cui ha raccontato la nostra disciplina sono state lo specchio del suo spessore culturale.”

Putaro

Aspirante giornalista e innamorato del tennis. Per uno come me, Gianni Clerici è per definizione un punto di riferimento. Dal momento in cui ho sviluppato le mie passioni e ho iniziato ad avvicinarmi e interessarmi anche al “contorno” dello sport non fossilizzandomi solo sulle partite giocate, lui è divenuto uno dei volti che hanno tracciato il mio sentiero, che mi hanno formato e ai quali, con ogni certezza, non smetterò mai di ispirarmi. Approcciando alle sue opere, ricordo che rimasi sbalordito dal suo uso della penna: stile deciso e armonioso, grazia tecnica impeccabile, brillante capacità critica, profondo amore e conoscenza verso ciò che trattava. Quasi in grado di dare vita alla narrazione, sempre fluida, d’impatto, coinvolgente. Gianni Clerici è stato, è, e sarà un orgoglio non solo per i giornalisti, non solo per gli sportivi, ma per gli italiani tutti. Un’eccellenza che ha testimoniato al mondo le sue qualità e la sua grandezza. Buon viaggio Maestro.

Cherici

Mi chiamava “il mio quasi omonimo”. Quelle poche volte che ho frequentato le sale stampa dei tornei che ho avuto la fortuna di seguire, incredibilmente ma vero, era lui quello che mi salutava per primo. Era rimasto colpito, incuriosito, dall’assonanza dei nostri cognomi e non mancò di interrogarmi sull’origine del mio, facendomi successivamente sapere che aveva scovato dei Cherici anche nel comasco.

Eccola là, ci sono ricascato! Una delle prime cose che mi hanno insegnato nella mia insignificante carriera di giornalista semi-abusivo è che non si dovrebbe mai scrivere in prima persona. A meno di non essere un direttore o una firma riconosciuta, non andrebbe mai fatto. Ma questo non è un articolo e nemmeno ha la pretesa di esserlo. È un semplice ricordo, elementare ma sentito, di una persona che ho frequentato pochissimo, ma per la quale avevo – meglio: ho! – un’ammirazione sconfinata e alla quale volevo molto bene. Mi perdonerete quindi se per una volta calpesto le regole e ne parlo come si farebbe tra amici, davanti una bella bottiglia di buon vino.

Volevo molto bene a Gianni, ho appena detto. Già, ma come si faceva a non volergli bene? Viviamo in un mondo dove presunti grandi giornalisti su Twitter si parlano solo tra di loro e che se poco poco osi porgli una domanda neanche ti rispondono. Lui che invece grande giornalista lo era per davvero, in sala stampa non si negava a nessuno. Magari anche soli dieci minuti, ma aveva tempo per tutti. Soprattutto per i più giovani.

Definire Gianni un grande giornalista era poi persino riduttivo. Era un gigante del giornalismo. Assoluto e ineguagliabile. E per dirla proprio tutta, nemmeno gli piaceva essere definito giornalista. Preferiva “scrittore”. Ed aveva ragione da vendere. Perché lui ha cambiato il linguaggio nel racconto del tennis. E questo non può essere fatto da un semplice, per quanto talentuoso, giornalista

Clerici è stato per il tennis quello che Brera è stato per il calcio (ehhh questi Gianni…). Per chi è nato televisivamente con le telecronache impeccabilmente piatte di Disguido Oddo, passare al linguaggio solo apparentemente aristocratico di Gianni è stato un mezzo choc. La risposta diventava allora la ribattuta. La demi-volée si trasformava in mezza volata. E il giocatore che steccava aveva s-centrato la palla. 

Durante le partite sembrava quasi disinteressarsi al punteggio, per concentrarsi piuttosto sui dettagli del gioco. Rino Tommasi, che lo conosceva come nessun altro, disse di lui: “Forse negli articoli di Gianni non troverete il punteggio della partita, ma sicuramente lui vi avrà spiegato il perché”. Questa suo apparente girovagare attorno alle piccole storie di partite e giocatori gli valse l’immortale soprannome di Dottor Divago. 

Una volta seguimmo un Federer-Soderling insieme a Flushig Meadows. Lo svedese, allora numero 4 del ranking, fece un punto incredibile tirando una delle sue proverbiali randellate di dritto. Il pubblico esplose in un boato e Gianni mi bisbigliò in un orecchio: “Barbari!”. A me in realtà era sembrato un gran punto e proprio non capivo. Così lui, vedendomi interdetto, precisò il concetto: “È meglio un qualunque dritto in rete di Federer di un qualunque vincente di Soderling”. Assolutamente geniale.

Una delle giornate più belle della mia vita – ripeto: della mia vita! – l’ho trascorsa sul campo n. 1 di Wimbledon. Si giocava un terzo turno e i match in programma erano Hewitt-Bolelli e Safin-Seppi (indovinate chi ha vinto?). Riuscii ad intrufolarmi grazie all’amico Michele Fimiani (che non smetterò mai di ringraziare) nella cabina di commento di Sky ed ebbi così la possibilità di vedere in azione dal vivo i miei miti, Tommasi-Clerici. Quel giorno mi sembrava di essere Pinocchio nel Paese dei Balocchi: un’esperienza unica, indimenticabile. E a ripensarci oggi, soprattutto commovente.

Addio Gianni, e grazie. Per quello che ci hai insegnato, per quello che ci hai raccontato e per come ce l’hai raccontato. Ciao Scriba, sarai per sempre Postumo in vita.

Bencini

Quando parlare di tennis era chiacchierare di tennis.
Quando ammirare un colpo era descriverne la storia e non solo il gesto tecnico.
Quando il tennis era prima tradizione e classe che business e sponsor.
Quando sentivi esaltare la nobiltà dietro al rumore della pallina che impattava sulla racchetta.
Quando era la storia a fare i tennisti prima che il contrario.
Quando vivevi un tennis 365 giorni all’anno raccontato in modo diverso ogni volta che aprivi il giornale o che accendevi la tv. Come un classico letterario che aveva sempre qualcosa di nuovo da dire.
Questo per me è stato Gianni Clerici.

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