Australian Open: Barty, la “generazione Osaka” e la spaccatura col resto del gruppo

Dallo US Open 2018 a oggi si sono giocati 13 Slam. Sette di questi sono stati spartiti tra Naomi Osaka e Ashleigh Barty.

Oltre il 50% dei titoli più importanti della stagione, e questo con un 2020 segnato dalla pandemia che ha tenuto l’australiana lontana dai campi da febbraio a fine stagione e un 2021 coi gravi problemi della giapponese che ha giocato quasi mai da aprile in avanti.

Barty e Osaka, tra l’altro, hanno ottenuto sette titoli Slam in due senza mai perdere una finale. Un perfetto record di 100% fin qui che le pone con ancor più forza come i volti principali di questa nuova era del tennis femminile. E probabilmente le due si completano a vicenda, per certi aspetti: Ashleigh è un’ottima, dignitosissima, numero 1 come non si vedeva da una decina d’anni, ma in questo momento sta recitando da sola. O quasi. Naomi in condizioni normali sembra l’unica al momento che possa concretamente fronteggiarla, sul cemento, mentre sulla terra le cose migliori si sono viste soprattutto da una giocatrice: Iga Swiatek, ancora però indietro di qualche anno nel percorso di maturazione.

Dopo stagioni di grandi incertezze, dal 2016 al 2018, il tennis femminile negli ultimi anni ha svoltato. Non è ancora a un punto definitivo della sua mutazione, e forse fa quasi specie dire così quando l’anno precedente due Slam su quattro hanno avuto vincitrici molto sorprendenti come Barbora Krejcikova (comunque rivelatasi molto ben impostata nel resto della stagione) ed Emma Raducanu, ma sembra più che per arrivare a esiti così sorprendenti si debba passare sempre più per circostanze rocambolesche. Quel torneo di Parigi, lo scorso anno, viveva sulle spalle di tre giocatrici nella parte alta: Barty, Swiatek e, al momento del ritiro dell’australiana, Cori Gauff. La polacca ha subito, alla lunga, lo scotto del primo titolo da difendere ma il dominio mostrato nella finale a Roma rinforza ancor di più la sensazione che lei potrà essere grande protagonista sul rosso per tanti anni. Ashleigh si è ritirata per infortunio, Osaka (comunque non indicata a far strada) si è ritirata per il crollo a livello mentale, Petra Kvitova (altro nome importante seppur non tra le favorite) si è girata la caviglia dopo una conferenza stampa, Simona Halep notoriamente tra le favorite principali si strappa il polpaccio a due settimane dal torneo. Bianca Andreescu, Elina Svitolina e Karolina Pliskova erano in top-10 ma di fatto destinate a fare pochissima strada. Il tabellone si aprì quasi subito, quattro nuove semifinaliste e una finale di tensione tra Krejcikova e Pavlyuchenkova.

Allo US Open Barty è arrivata completamente scarica mentalmente dopo una lunga stagione, Osaka viveva l’ultimo capitolo della sua annata terribile, Swiatek buttava una partita fattibile contro Belinda Bencic e Sabalenka diveniva una delle vittime di Leylah Fernandez. La svizzera e Maria Sakkari non offrirono vera resistenza a Raducanu e si creò la più improbabile delle finali. Fu caotico, quello sviluppo, e per tanti versi irripetibile. Tolte questi due tabelloni, dallo US Open 2018 a oggi soltanto Simona Halep a Wimbledon 2019 diede un segnale forte dalla generazione precedente. Le ragazze nate dal 1990 in avanti sono sempre più col fiato alla gola. Si sono trovate in mezzo tra il dominio di Serena Williams e queste nuove leve, da subito agguerrite. Il trionfo Slam di Alona Ostapenko a Parigi 2017 fu un primo sussulto, poi dal primo sigillo di Osaka è stato una cascata. C’è chi regge, chi ha sempre il guizzo pronto, e i nomi ricadrebbero su Garbine Muguruza che recentemente è tornata in top-3 e Simona Halep, anche se sarà da valutare la ripresa dopo un 2021 pessimo dal punto di vista fisico.

Ci sono diverse giocatrici attese al rientro, da Bencic ad Anisimova passando proprio per Andreescu, ma di fatto la via sembra sempre più ad appannaggio delle giovanissime. Da dove nasce tutto? Da una testa diversa, il più delle volte. L’arrivare e non trovare la Serena Williams degli anni 2011/2014 è stato un vantaggio notevole, perché una dominatrice di quello spessore ha tagliato le gambe a tante che hanno dovuto attendere anni per un periodo più favorevole, ma quello spazio al sole per loro sembra ridursi anno dopo anno. Questa nuova generazione, soprattutto, sembra avere molta più capacità di sfruttare il campo nella sua ampiezza. Cosa che è probabilmente mancata a tante di quella precedente non fosse per Kerber e alle volte Kvitova, entrambe favorite dalla traiettoria mancina. Barty e Osaka, da sole, hanno di fatto già segnato la nuova via. Una è ormai nel pieno della carriera con una costanza che fin qui non ha avuto molti eguali. L’altra è la super star planetaria che ha contribuito a portare il tennis in un’altra dimensione, più incentrato anche sulle vicende personali e sociali.

Barty ha vinto questo Slam da numero 1 e come non si vedeva da tantissimo. Ha puntato tutto qui, fermandosi a inizio settembre dello scorso anno e rinunciando alle WTA Finals. A tratti è stata diabolica, con quello slice che ha mandato ai matti le grandi colpitrici, con quel servizio che è stato un’ancora fondamentale quando oggi da fondo stentata col dritto e il rovescio da solo non bastava. Nel primo set ha vinto 6-3 e dei 22 punti vinti alla battuta ben 18 sono arrivati senza far cominciare lo scambio, che fossero ace o servizi vincenti. Ha tantissime armi a disposizione ormai che rischia di diventare difficilissima da affrontare per tutte. Siamo a tre Slam su tre superfici diverse e tra le tenniste in attività ci riuscì solo Serena. Le manca uno solo, ora, per completare il Grande Slam della carriera: a New York non ha mai superato il quarto turno, e da adesso avrà 10 anni almeno per migliorarsi. Osaka stessa, su cemento, dovesse veramente dare continuità alla sua voglia di tornare sarebbe la chiara favorita principale. Swiatek è perfetta per la terra, Sabalenka ha tutte le possibilità per riprendersi, Anisimova ha mostrato finalmente di cosa è capace dopo un periodo terribile.

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