Gian Marco Ortenzi, l’ingegnere tennista che sogna Wimbledon

Gian Marco Ortenzi, romano, classe 2000, è un ragazzo speciale e molto interessante. Nella sua vita ci sono due grandi passioni: quella per il tennis e lo studio. E quel Wimbledon...

Gian Marco Ortenzi, romano, classe 2000, è un ragazzo speciale e molto interessante. Nella sua vita ci sono due grandi passioni: quella per il tennis e lo studio. Gian Marco è iscritto alla facoltà di Ingegneria Meccanica alla Sapienza. Ha finito il primo anno con cinque esami al suo attivo e non sente il peso di questi due importanti impegni che sta portando avanti. Vediamo come nascono queste due passioni.

Per quanto riguarda il tennis, abbiamo un aneddoto, su come Gian Marco si è avvicinato, a i campi da tennis. Aveva quattro anni e mezzo, doveva andare a fare lezione di nuoto. Come di consueto la sua “tata”, lo accompagnava dentro lo spogliatoio e poi, tornava alla fine dell’ora a riprenderlo. Quel giorno il piccolo “Giammi”, come lo chiamano i familiari e gli amici più stretti, sgattaiolò fuori dagli spogliatoi della piscina per andare negli attigui campi da tennis. Quei campi dai quali era attratto, e che guardava ogni volta che entrava al circolo “New Green Hill”. Quel giorno che ha giocato a tennis per la prima volta: è stato subito amore! Cos’è successo poi?

Tua mamma si è accorta che il costume era asciutto?

«Sì, se n’è accorta e si è andata a scusare col maestro di tennis, per la mia intrusione. Il maestro però le ha fatto capire che ero portato… Così, ho continuato per altri quattro anni a fare sia nuoto, sia tennis, fin quando confessai ai miei genitori che volevo dedicarmi interamente al tennis, mi piaceva troppo. Mi piace tutt’ora, mi diverto e non riesco a immaginare la mia vita senza questo sport».

Come ogni ragazzo che inizia a giocare a tennis avrai avuto e hai un modello, un giocatore che ha contribuito a alimentare la passione per il tennis?

«Sì certo, ce l’ho. Quando ho cominciato a capire veramente cosa fosse una partita di tennis, fu quando vidi giocare Nadal e Federer a Wimbledon 2008. Avevo nove anni, in quell’occasione vinse Nadal. Mi piacciono entrambi nonostante abbiano uno stile di gioco completamente diverso. Non mi perdo mai una loro partita… ma a essere sincero, non mi perdo mai una partita di Federer. Anche quando sono all’università e non posso guardarlo in televisione, lo seguo grazie a un’applicazione che ho sul cellulare. Senza dubbio è Federer il mio preferito».

Raccontaci invece come è nata la decisione di iscriverti a Ingegneria?

«Nella mia famiglia, l’ingegneria è una tradizione, siamo ingegneri o medici. Mia madre è medico nucleare, mio nonno materno, Giovanni Picardi era ingegnere elettronico e professore alla Sapienza. Ha lavorato con l’Agenzia Spaziale Italiana e Europea, fu lui a lavorare al progetto “Marsis”, il radar che scoprì il lago salato su Marte, fu nonno Giogiò a progettarlo. Al di là di questo, io ho sempre studiato con grande facilità la matematica. Ho frequentato il Liceo Scientifico “Avogadro”, ma se riesco a studiare e a giocare a tennis contemporaneamente, è soprattutto grazie ai miei genitori, che mi hanno abituato sin da piccolo».

Quindi non pensi che fare entrambe le cose ti impedisca di eccellere in una delle due?

«No, non mi sento diviso. Per ora riesco a fare entrambe le cose, anche se mi rendo conto che arriverà un giorno in cui dovrò fare una scelta. Intanto continuo così, in ingegneria sono riuscito a dare cinque esami su sette, al primo anno».

Gian Marco ha un gioco molto vario, sa stare bene a fondo campo ma, gioca molto bene anche il “serve and volley”. «Mi piace fare palle corte, il “drop shot” è un modo di chiudere prima il punto, soprattutto quando sono un po’ stanco». Il rovescio bimane, è il suo colpo migliore, perché gli riesce naturale, come la matematica… «Anche nelle giornate storte, il rovescio per me è una certezza, mi entra sempre. Mentre di dritto mi alleno molto di più, ma alla fine è grazie a questo tiro che riesco a chiudere più punti. Sul servizio invece devo migliorare, per ora è molto altalenante durante un “match”, devo riuscire a essere più costante». Ortenzi non ha una superficie preferita sulla quale giocare, dipende dal momento «Mi trovo bene sulla terra battuta e potrei dire che è quella in cui gioco meglio, ma anche sul cemento e su superfici veloci mi adatto e riesco a giocare bene. Mentre sulle superfici troppo veloci, non riesco a dare il massimo».

Nella sua carriera, Gian Marco quando era Juniores, ha raggiunto la posizione numero 205. Dallo scorso agosto, è entrato nella classifica ATP, ha ancora molta strada davanti, gli aspetta tanto lavoro e impegno, per raggiungere i suoi obbiettivi. È un buonissimo giocatore, che ancora non ha avuto la possibilità di esprime appieno tutta la sua potenzialità. Il 2019 gli ha dato grandi soddisfazioni, dal Challenger di l’Aquila, alle Universiadi di Napoli, per finire col la vittoria Campionati Regionali Assoluti in singolare e doppio. Grazie a questi risultati che gli hanno dato una grande carica, Ortenzi, si sente pronto per affrontare il 2020 come si deve ma senza perdere mai di vista lo studio.

Ha sempre giocato al New Green Hill, a parte una parentesi di due anni al Nomentano. Il suo maestro è quello di sempre, Valerio Germani e quando non lo può accompagnare ai tornei, c’è Andrea Pelliccioni a seguirlo. Il preparatore atletico è Daniele Marchetti, che lo fa lavorare sodo. «La mia giornata tipo quando sto a Roma, la decidiamo insieme. Il lunedì mattina, programmiamo tutta la settimana, in base alle lezioni che ho all’università. Mi alleno in palestra due volte a settimana mattina e pomeriggio per circa due ore. Le altre tre volte, faccio atletica in campo con la racchetta, facendo dei percorsi, altre volte atletica in campo senza racchetta, poi gioco mattina e pomeriggio per due ore. Ai tornei, siccome sono scaramantico, cerco di fare le stesse cose del primo giorno. Di solito, sveglia alle otto, faccio colazione e, se gioco al mattino, poi nel pomeriggio gioco una quarantina di minuti per defatigare. Il contrario se gioco di pomeriggio». Da quando ha otto anni Gian Marco gioca con la stessa racchetta, ha una contratto con Babolat da undici anni. Poi ci sono altri sponsor? «Sì, c’è Fabrizio Cifariello, il mio fisioterapista dello studio “Fisioteam”, che si prende cura di me. Poi mia “zia Dodo” – Donatella Buzzetti -, che mi segue da sempre è come una seconda mamma, mi dà tanti consigli, mi risolve problemi e dall’inizio del 2019, ha pensato di disegnare una linea di completi da tennis con un suo marchio, il suo ruolo per me è fondamentale!».

Per il futuro ci sono molti progetti, e anche dei sogni nel cassetto. Gian Marco ha le idee molto chiare, vuole fare un passo per volta, ha piedi per terra «Intanto vorrei fare diversi tornei 15.000 e 25.000 per prendere punti, un obbiettivo fondamentale per il 2020 sono le qualificazioni al Foro Italico». Anche nei sogni è piuttosto razionale, di getto dice: «Mi piacerebbe arrivare tra i primi cinque e vincere Wimbledon… – poi si ferma – ma anche arrivare tra i primi cinquanta e vincere Roma mi andrebbe bene!».

 

 

 

 

 

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