WTA, il pagellone della top-10: Barty, manca solo la lode. Molto bene Osaka e Andreescu

Una per una, nel dettaglio, abbiamo provato a giudicare la stagione di chi ha chiuso in top-10. Impossibile dare vere insufficienze, ma per qualcuna (come Belinda Bencic) è stato un anno buono, a tratti ottimo, ma che poteva dare molto di più.

È arrivato il momento di giudicare le stelle principali della stagione WTA. Per capire meglio i voti è giusto chiarire due cose.
1. non hanno tutte un metro di giudizio unico. È impossibile. Stili diversi di gioco, momenti personali diversi, prospettive diverse e traguardi diversi.
2. essendo queste, per definizione, le migliori 10 al mondo della stagione 2019 non ci sono state insufficienze vere ma possiamo considerare una scala di valori che parte dal 7 e arriva al 10.

Ashleigh Barty – 10
Partiamo dall’unico neo: la Fed Cup. Quel “di più” che le sarebbe valsa una lode a un anno davvero, davvero, davvero stellare. Lo aveva annunciato dopo la vittoriosa trasferta negli USA a febbraio, quando l’Australia si impose 3-2: voleva quel trofeo, e arrivava in finale con 16 vittorie consecutive, perdendo però 2 volte nella domenica decisiva.

Questo, comunque, non condiziona una stagione a livello personale ben oltre le righe e come gioco e come personalità. È destinata molto probabilmente ad avvicinarsi a una striscia di settimane da numero 1 che la vedrebbe tra le migliori 10 nella storia WTA, a dimostrazione che l’impatto di quel traguardo a ora l’ha colpita in maniera molto sorprendente. Qualche sconfitta inattesa, un mese d’agosto con un livello di gioco abbastanza basso, ma il retro della medaglia è la tranquillità con cui ha gestito quella fase, consapevole che il suo obiettivo non fosse essere al top della condizione lì, tra Toronto e Cincinnati, o allo US Open, ma doveva raggiungere il masso per ottobre-novembre, dove ha sfiorato il titolo a Pechino, ha vinto le WTA Finals di Singapore e ha sfiorato la vittoria in Fed Cup.

Dopo Wimbledon ha deciso di staccare col tennis per tre settimane, coccolando la nipotina a casa e facendo indigestione di film Disney. Veniva da mesi folli: titolo a Miami, week-end (pazzesco) da protagonista in semifinale di Fed Cup, quarti di finale a Madrid, titolo a Parigi, titolo a Birmingham con annesso numero 1 del mondo, e ottavi a Wimbledon. In 5 mesi ha ribaltato il mondo con un gioco di grande qualità e stile geometrico, aperto ormai a diverse fasi, anche con la capacità di soffrire in maniera minore i momenti pesanti, dove fino a poco tempo fa crollava. Il 2020 sarà il suo banco di prova, ma “Ash” ha mostrato fin qui grande serenità, diverso da chi magari ottenuto un risultato del genere tendeva sempre a strafare.

Karolina Pliskova – 8,5
La Pliskova dei primi 5 mesi dell’anno meriterebbe quasi 10. Tra gennaio e maggio è stata spesso in fondo ai tornei e con due titoli di buon spessore portati a casa (Brisbane e Roma). A gennaio sembrava letteralmente volare. Un Australian Open che dal secondo set contro Madison Brengle al secondo della semifinale contro Naomi Osaka è sembrata vederla al livello di gioco più alto mai toccato. Le statistiche di quelle partite erano irreali: contro Garbine Muguruza al quarto turno mise insieme una prestazione da 23 vincenti e 3 gratuiti. Il recupero da 5-1 e 40-30 al terzo per Serena Williams, poi, fu praticamente solo merito suo che ha cancellato 4 match point diventando protagonista e cercando rischi. Contro Osaka, un primo set dove la giapponese è stata ingiocabile è stato poi ribaltato con un secondo set di ottima attitudine della ceca, che un po’ bluffando e un po’ alzando il proprio livello ha portato Osaka a innervosirsi e dover tirare fuori il meglio di se nel parziale decisivo.

Dopo Roma, però, Karolina è andata smarrendo lo smalto migliore. È rimasta la “solita” giocatrice capace di picchi abbastanza alti nel proprio gioco ma con pause più lunghe e momenti di difficoltà maggiori. Il muro Slam è rimasto ancora in piedi, si è separata prima da Rennae Stubbs (anche per difficoltà dell’australiana a essere sempre presente) e ora anche da Conchita Martinez, un duo con cui aveva acquisito grande serenità e, proprio come Barty, sembrava essere entrata in una sfera più matura della sua carriera. Le ultime settimane, al di là del titolo a Zhengzhou, avevano fatto vedere una Pliskova abbastanza stanca e altalenante chiudendo comunque al numero 2 del mondo con una semifinale alle Finals.

Naomi Osaka – 9+
Un secondo titolo Slam, oltretutto subito dopo lo US Open, 25 settimane da leader, tre trofei vinti e la serie di 11 vittorie consecutive con cui ha chiuso il 2019. Naomi Osaka, malgrado i due mesi di difficoltà a marzo e giugno, non può scendere da un 9 in una stagione importante perché, al contrario di altre, dopo l’anno da rookie ha vissuto quella successiva mantenendo, se non proprio migliorando, le prestazioni.

Ha avuto fasi delicate, giornate difficili, ma guardando l’anno nel suo insieme la prima grande differenza, in positivo, rispetto al 2018 è stata la costanza di rendimento. In quella stagione da Indian Wells allo US Open ha raramente messo insieme due vittorie di fila, arrivando poi a New York con tre sconfitte consecutive sul groppone. Quest anno, con anche l’addio burrascoso a Sascha Bajin, passata la trasferta nord-americana di marzo aveva cominciato bene la stagione su terra battuta con una semifinale a Stoccarda e i quarti a Madrid e Roma. Parigi è stata una prova significativa, che l’ha respinta ma può anche averle dato qualche indicazione per il futuro: forse la terra non è così nemica, a meno che dall’altra parte non ci sia una come Katerina Siniakova che quel giorno ha macinato chilometri inscenando una masterclass difensiva che l’ha fatta deragliare. Dopo il periodo sull’erba, è tornata a essere nuovamente ad alti livelli e se guardiamo le sconfitte da agosto in poi sono arrivate solo contro Belinda Bencic (3-0 per la svizzera in stagione) e Serena Williams. Lei, oltretutto, ha fatto però segnare l’importantissimo punto a favore a fine match contro Coco Gauff a New York, quando ha fermato la statunitense che voleva scappare nello spogliatoio e le ha fatto capire che il pubblico assiepato all’inverosimile in tribuna era lì per lei e per applaudirla, mostrando i gradi di leader del gruppo anche nei confronti dell’ultima arrivata.

Simona Halep – 9
Un solo titolo vinto in stagione, ma è quello che le vale la gloria eterna. Simona Halep, in un’annata che doveva essere di transizione rientrando dall’ernia al disco e senza più Darren Cahill al proprio fianco, è riuscita non solo a mantenere senza problemi la top-10 ma dopo una buona crescita di rendimento ha trovato il picco massimo nella seconda settimana di Wimbledon concludendo il torneo travolgendo Serena Williams in una finale senza alcuna storia. E come peso specifico, questo non ha alcun paragone col Roland Garros dello scorso anno. Lì era un successo atteso, prima o poi, dalla grande costanza che la rumena aveva e dalla possibilità di essere una tra le poche vere favorite su una superficie che un minimo di selezione riesce ancora a farla. Su erba, però, ha fatto il vero capolavoro e ha messo in piedi la partita perfetta contro l’avversaria con cui era indietro 1-8 nei confronti diretti.

E in tutto ciò, anche lei è parsa per la prima volta vivere una stagione da giocatrice matura, sicura e dunque ancor più pericolosa. Dopo 6 anni consecutivi in top-10 sta giocando senza più alcun peso sulle spalle e sta ancora una volta mostrandosi la più costante di tutte, ormai vicinissima ad avere una delle 10 strisce di settimane consecutive più lunghe in top-10 nella storia WTA. Mettendo tutto assieme, viene fuori un’altra stagione in cui c’è moltissimo di buono da raccogliere.

Bianca Andreescu – 9/10
Non arriviamo al 10 più per una sottigliezza. Lo merita ma c’è stato qualcosa in cui si è mostrata ancora molto ingenua e che le è costata tanto. Il sovraccarico di partite nei primi mesi è qualcosa che l’ha condotta a un infortunio piuttosto grave, eppure la gestione di quelle fasi è stata piuttosto scriteriata. Dopo il titolo a Indian Wells, e con la netta sensazione che già ci fosse in corso qualcosa, andare a Miami era un rischio inutile. Non è da dimenticare poi come sia sembrata fin troppo fragile fisicamente fin dalla prima settimana ad Auckland. O almeno, già in Nuova Zelanda se la partita superava le due ore (e di set decisivi ne ha giocati diversi quest anno) aveva spesso il fisioterapista in campo. Ha vinto in California il primo titolo della carriera, rimettendo in piedi un terzo set in finale dove tra un punto e l’altro si muoveva veramente male per la fatica, ma giocando più “a tutto braccio” ha infilato 14 vincenti dal 3-1 Kerber.

Poteva saltare completamente la stagione su terra battuta per riposare al meglio e invece ha comunque voluto fare preparazione e arrivare a Parigi, lì dove si è fatta una partita di grande sofferenza e scoprire che la spalla non era a posto, saltando altri 2 mesi. È rientrata poi come meglio non poteva, vincendo Toronto e lo US Open, e di nuovo a fine stagione si è “rovinata” l’appuntamento clou delle WTA Finals con un nuovo infortunio. Straordinaria per tante cose, ma l’inesperienza e la voglia di giocare a tutti costi (che ripeteva al proprio coach anche a Shenzhen dopo aver sentito crack al ginocchio) le è costato tanto, o poteva essere molto più vicina ad Ashleigh Barty e prenotare il numero 1 a gennaio.

Elina Svitolina – 7,5
Zero titoli, una sola finale all’attivo. A un certo punto il suo 2019 era parsa una sfida a se stessa. Fermatasi a Miami per un ginocchio che ormai era al limite da qualche settimana, ha fatto poi fatica a ritrovare ritmo anche a causa di un tipo di tennis che chiede tantissimo al fisico. Col tempo, però, ha saputo contrastare questi momenti cogliendo due semifinali Slam consecutive, lei che aveva mancato i primi 4 appuntamenti perdendo altrettanti quarti di finale. Oltre a questi, la semifinale a Indian Wells e la finale a Shenzhen mettono il 2019 sotto una luce più che accettabile, e almeno mezzo punto lo guadagna per aver deciso di pagare di tasca propria l’intero costo dell’operazione d’urgenza che doveva subire la giovanissima connazionale Daria Lopatetska, classe 2003 e vicinissima alla top-200 prima di rompersi il ginocchio in un ITF a Roma. In più, a fine stagione con ancora un ginocchio non a posto si è fatta più di 5 ore di tennis in un giorno a Zhengzhou con due partite maratona. Solo rispetto per una che ha un’attitudine come pochissime altre giocatrici, pur consci del fatto che ha bisogno di ancora diversi step per proporsi concretamente come favorita nei grandi appuntamenti. Proprio per la questione di un tennis ancora molto soggetto alla prestanza fisica e al momento, un po’ più “in sicurezza” quando invece dovrebbe rischiare.

Petra Kvitova – 8-
Confessione: avremmo voluto darle 10, perché questo avrebbe voluto dire completare un percorso da film con l’approdo al numero 1 del mondo dopo tutto quello che le è successo nel privato. Siamo sempre qui a sperarci, perché sarebbe qualcosa che 1. merita e 2. esce dalla tematica dei fan. Dal rientro in campo nel 2017 Kvitova ci ha emozionato in tantissimi momenti e in questo 2019 è arrivata ancora una volta vicinissima, sciupando diverse occasioni nei primi 4 mesi che purtroppo sono state decisive e letali sul voto globale al 2019 rovinato poi completamente dallo strappo muscolare del Roland Garros. Avrebbe forse meritato molto di più che una chiusura al numero 7 del mondo, anche perché il ritmo che stava avendo nei primi 5 mesi era uguale a quello di Simona Halep lo scorso anno, chiuso poi tranquillamente al numero 1 WTA. Poi lo stop, il dover ripartire senza più ritmo e con poca fiducia anche per l’infortunio così inusuale e le sensazioni al braccio sinistro che non davano mai certezze: un giorno magari sentiva poco dolore, in tanti altri invece era una mezza agonia. Alla fine le Finals di Shenzhen l’hanno vista nuovamente uscire con uno 0-3 pesante, forzato da un campo pessimo per quello che è il suo gioco, che è un peccato enorme dopo l’ottima condizione di inizio anno, col picco che rimarrà quella finale Slam in un torneo per lei storicamente complicato ma dove aveva sfruttato ogni volta giornate e condizioni favorevoli macinando ottimo gioco e venendo fermata a un passo dallo storico traguardo. Riprovaci ancora, Petra.

Belinda Bencic – 8,5
La stagione del rientro ad alti livelli è partita ufficialmente dalla settimana di Dubai a metà febbraio, dove ha messo in fila quattro top-10 in sei partite giocate. Un capolavoro della svizzera, che ha poi trovato altri successi e piazzamenti importanti ma che forse ha anche mancato chance pesanti per ripetere un exploit come quello, motivo per cui non possiamo andare più in su di un 8,5.

A Indian Wells era 4-2 contro Angelique Kerber in semifinale prima di mancare qualche servizio e innervosirsi pesantemente perdendo poi 6-4 6-2, fattore verificatosi anche a Madrid quando si sfogò duramente contro il padre subito dopo aver vinto il secondo set contro Simona Halep in semifinale (e aver già rischiato grosso il giorno prima contro Osaka, salvata anche dalle difficoltà della giapponese al servizio) e infine nella semifinale dello US Open in cui lei, la svizzera, è crollata sia nel tie-break del primo set che dal 5-2 e servizio nel secondo, buttando al vento la grandissima chance di una finale Slam.

Bencic stessa riconosce che spesso in campo eccede in certi atteggiamenti, ma non sembra comunque intenzionata a cambiare questo suo carattere (perché, dice, “devo sentire il fuoco dentro di me”). La speranza, per lei, è che col tempo riesca a maturare ulteriormente come fatto da Dominika Cibulkova (voto 9 alla carriera) e incanalare le emozioni nella giusta direzione per togliersi soddisfazioni importanti visto anche come è una delle poche, pochissime, ad aver mandato in crisi Osaka annullandole uno dei suoi jolly: le diagonali.

Kiki Bertens – 7/8
Come per Petra Kvitova. Questa era una stagione almeno da 9, fino a Roma, eppure a Parigi è arrivato il colpo di scena che ha rovinato tutto. La miglior versione di Kiki Bertens era arrivata sulla terra rossa prendendosi subito il pesantissimo titolo di Madrid, solo sfiorato nel 2018, e facendo un colpo triplo: non solo il suo titolo più importante ma era anche il più importante per il suo paese dagli anni 30, e le dava modo di entrare in top-4, miglior ranking di sempre per una tennista olandese.

Bertens faceva la storia e confermava l’ottimo momento con la semifinale a Roma, sfortunatissima lì nel mancare il match point per uno smash di Johanna Konta che, malcentrato, ha preso mezza riga esterna. Comunque per Parigi era una delle favorite principali, con un tabellone oltretutto che non le dava alcun ostacolo almeno prima della semifinale. Purtroppo, però, un malessere fisico l’ha colpita molto duramente e dopo soli pochi game si è ritirata al secondo turno, tremando e con il volto pallido. Si è scoperto che aveva passato le 4 ore precedenti al match contro Viktoria Kuzmova a vomitare in bagno quasi senza sosta, completamente svuotata di energie. Il contraccolpo è stato pesantissimo, con pochissimi risultati raccolti dall’erba in poi, protagonista di un mega-tour mondiale dallo US Open fino a Shenzhen, giocando 9 settimane consecutive e finendo ritirata alle Finals per un nuovo problema fisico.

Serena Williams – 7
Proviamo a ragionare come farebbe lei. Due finali Slam sono un bottino eccezionale, tranne che se ti chiami Serena Williams. Il fenomeno della natura del circuito WTA ha 38 anni, una bambina di due, tutta la possibilità di farsi una vita lontana dai campi, eppure sta provando in tutti i modi a raggiungere quel ventiquattresimo Major che le leverebbe una volta per tutte la mosca dal naso di vedere Margaret Court davanti a lei. È ammirevole, ma sta inciampando ormai in una situazione in cui sembra sempre più incastrata. Sta limitando la propria attività, sta facendo ancora fatica a sbloccarsi nelle finali, e il tempo passa. Kerber, Osaka, Halep e Andreescu l’hanno sconfitta abbastanza facilmente, e nel 2020 lei andrà per i 39 anni, in un conto alla rovescia che la vede con ancora (almeno) quattro tentativi. Qualche buona partita, qualche risultato bugiardo perché contro avversarie che non le terrebbero mai testa (il 6-1 6-0 contro Qiang Wang ai quarti dello US Open, che a tanti fece pensare fosse fatta per il titolo). Il problema sembra soprattutto uno: la mancanza di partite che possano realmente prepararla a situazioni difficili. Al di là della vittoria contro Halep al quarto turno a Melbourne, dove comunque era stata in grande vantaggio prima di essere risucchiata, non c’è mai stata un’affermazione che fornisse un vero indicatore che fosse pronta per affrontare momenti no. Addirittura, all’ultimo US Open, è bastata una prima di servizio ballerina fin dal game-1 per dare vantaggio a una Andreescu che non chiedeva altro, forte di un momento completamente opposto.

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