[8] S. Williams b. [5] E. Svitolina 6-3 6-1
Alla fine è stata quasi una passeggiata, una riproposizione della partita contro Qiang Wang che, e oggi è stato ribadito semmai ce ne fosse bisogno, non era da considerare se non come indicazione di un Davide contro Golia dei giorni nostri. Serena Williams è in finale allo US Open, ha battuto Elina Svitolina 6-3 6-1, eppure tutto questo è nato da un inizio di partita in cui l’ucraina poteva e doveva fare di più per portare la sua avversaria nei terreni a lei più scomodi in questo momento.
Chiariamoci: a conti fatti non si mette in dubbio la vittoria della ex numero 1 del mondo, che sarebbe comunque potuta tranquillamente arrivare, ma c’è il rimpianto di una partita scivolata via anche a causa di un’avversaria troppo più fragile rispetto a quelli che erano i valori in campo. Ha finito per fare più game soltanto di Maria Sharapova e Wang, ma la sua partita ha fatto vedere che Serena malgrado sia nelle migliori condizioni psico fisiche possibili dal rientro è affrontabile. C’era una differenza di potenza e qualità enormi, ma Svitolina le stava dietro con una fase difensiva di buon livello e contrastando le prime accelerazioni avversarie portando Serena sui soliti piani dolorosi di questa fase di carriera. Zero palle break sfruttate su 6, in una fase dove ha perso il turno di battuta che ha deciso il set dove era 40-0, hanno creato una spaccatura ancor più grande tra le due.
Williams in affanno nel primo game, con tre chance di break salvate. Brava e fortunata a prendere il break in quello dopo e ad allungare sul 3-0. Sull’1-3 altro grave errore di Svitolina nel non concretizzare lo 0-40 avuto in risposta. In questa fase si è decisa tutta la partita nel suo dominio, perché l’ucraina ha lasciato troppo spesso che Serena facesse quello che voleva, perdendo campo quando andava a difendere invece di impostare una situazione “alla Kerber” con i piedi ben ancorati sulla linea di fondo. Nel quinto game, poi, sulla prima delle tre palle break consecutive aveva trovato un’ottima risposta che aveva messo fuori posizione la sua avversaria ma da 3 metri dietro la linea di fondo ha cercato un dritto difensivo piatto, neanche forte, finito sotto al nastro. Avrebbe dovuto remare a lungo, avrebbe forse faticato, alla lunga, ma aveva l’obbligo di fare partita alla pari almeno un set.
Serena, trovatasi con un grande vantaggio psicologico tra le mani, ha gestito con tranquillità i propri turni di battuta fino al 6-3 e nel secondo parziale ha reso ancor più pesante la propria affermazione. La sensazione è che ogni Slam che passa sia sempre più vicina a farcela, e che su questo US Open ha investito veramente tanto a livello di energie. Ma se da parte sua ci possiamo attendere adesso questi livelli ogni volta che scende in campo, faceva effetto vedere come quella superiorità mostrata contro le giocatrici sotto la prima fascia subisca un ridimensionamento quando poi affronta le prime della classe, come Svitolina. Il problema, semmai, è che l’ucraina ha mollato la presa troppo presto e dopo un set dove sono emersi limiti su cui deve ancora lavorare tanto. Oltre al perdere troppo campo non impostando una fase difensiva di alto livello, la sua seconda è troppo fragile. Il rendimento con la prima, nel primo set, era piuttosto buono, mentre la seconda spesso non aveva nulla e varcava la rete a meno di 80 miglia orarie nel certo del campo. Per Serena era un invito a nozze a colpirla in ogni modo.
Più volte, però, si vedeva come resistendo alle prime accelerazioni ci fosse modo per Svitolina di fare qualcosa. Serena si muoveva bene, ma sembrava spesso indecisa sul da farsi quando aveva una palla bassa e corta, oppure cercare di stuzzicarla coi contropiede e palle alte verso gli angoli. Aveva trovato subito le vie giuste per portarla nelle fasi decisive del set d’apertura con tanti dubbi. Quel frangente, invece, ha distrutto la sua partita e lanciato l’americana nuovamente a una sola vittoria dal titolo numero 24.
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