di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
02 Gen 2019 11:22 - OKTennis Magazine
A caccia di dollari: il tennis va alla guerra
Che ne sarà, per esempio, della Coppa Davis che conoscemmo e amammo. Lo abbiamo pensato tutti, noi "anziani", mentre ce la scippavano da sotto il naso
di Stefano Meloccaro
IL NON TEMPO e non luogo del non tennis, quel mese e mezzo di oblio imposto dal calendario ai suoi sfibrati protagonisti. Quando la scorsa stagione è terminata e quella futura ancora lontana, a noi non resta che elucubrare. In assenza di tabelloni e agone, meglio dibattersi nel dubbio che macerarsi nel vacuo. Chi siamo, da dove veniamo, cosa cerchiamo. Dove andremo a finire di questo passo, per dirla come gli anziani. Che ne sarà, per esempio, della Coppa Davis che conoscemmo e amammo. Lo abbiamo pensato tutti, noi anziani, mentre ce la scippavano da sotto il naso. Il vento del cambiamento non lo si può fermare, d’accordo. Ma stavolta era un uragano, e si è portato via 118 anni di storia in un minuto. Quando leggerete queste note, il periodo oscuro invernale sarà già alle nostre spalle, mentre la Coppa Davis modello 1900, sarà per sempre un ricordo.
Il danaroso e intraprendente gruppo Kosmos, in combutta con la federazione internazionale, ne ha rivoltato come un calzino formula, spirito ed essenza. A uso e consumo dei nostalgici resta, in febbraio, una prima fase vagamente simile al passato (Italia in India), da quattro singolari e un doppio. Si gareggia, però, solo venerdì e sabato e solo due su tre, per sgombrare subito il campo da possibili equivoci. Le 12 che passano questo playoff si rivedono a fine stagione per giocarsi il titolo, con le semifinaliste dell’anno prima, più due wild card. Tutti insieme appassionatamente, agglomerati in unica sede. 18 nazionali, sei gironi da tre, avanzano ai quarti la prima e le due migliori seconde. Sempre due su tre, ma stavolta solo due singoli e un doppio. Una settimana e passa la paura. Se state pensando qualcosa tipo “minchia, che sistema arzigogolato e cervellotico”, sappiate che siete in ottima compagnia. Il Festival di Sanremo del tennis partirà da Madrid (due anni), per poi spostarsi in ogni dove.
La rivoluzione copernicana genera sempre reazioni forti e fazioni contrapposte. I conservatori, in larga maggioranza, dicono che hanno vinto i soldi, che è stata infangata la storia e che di questo passo arriveremo a disputare Wimbledon in Qatar, con la scusa di portare il gioco dai fan. I progressisti, risicata minoranza, sostengono che la vecchia Coppa fosse ormai ingiallita, poco frequentata dai big e ormai priva di appeal, soprattutto televisivo. Mio democristiano parere personale: hanno tutti un po’ ragione. È vero che viene un groppo in gola pensando all’Insalatiera degli anni d’oro e alle emozioni che ha dispensato; è altrettanto vero che il progressivo disinteresse (con rare eccezioni) dei top ne aveva fatto un Moloch antiquato e spesso anacronistico. I grandi onoravano la patria a loro piacimento, perlopiù in gioventù, vecchiaia, o per non retrocedere. Comprensibile: per provare a vincerla, la Davis 1.0 pretendeva due settimane di dedizione esclusiva a trimestre, mica poco. La prima, di ritiro pre-match, la seconda di scarico dopo le fatiche del tre su cinque. Il rapporto costi/benefici, in tutta evidenza, non era così vantaggioso. Cambiare tanto per cambiare è sempre sbagliato, ma nel caso specifico una ristrutturazione era davvero necessaria. Questa è parecchio radicale, ma consideriamo pure che Novantesimo Minuto con Paolo Valenti è finito da un bel po’, e le partite in contemporanea la domenica alle 15, pure.
Dettaglio non trascurabile, per capire ancora meglio l’accaduto, il successo della Laver Cup inventata da Roger Federer, che ha accelerato tutte le riflessioni sulla nuova Davis. La Ryder Cup trasportata nel tennis è piaciuta molto, ha eccitato il pubblico e ingolosito i manager. Le imitazioni sono fioccate in quattro e quattr’otto. Da una parte la nuova Davis targata ITF, in quasi contemporanea l’altra neonata, la ATP Cup, riedizione della defunta World Team Cup. Ennesima ammucchiata (in senso buono) per squadre nazionali, stavolta prima dell’Australian Open. A ribadire che le due grandi sigle del tennis combattono una guerra senza esclusione di colpi. Cosa sarà del calendario negli anni a venire, difficile dirlo. Per certo nel 2020 si giocheranno Atp Cup, Davis e Olimpiadi. Più i tornei 1000, le Finals e gli Slam. Ci vorrà il vigile, e dovrà essere molto bravo.
Visto? Il periodo oscuro e nebuloso ha propiziato più di una riflessione sul futuro e instillato parecchi dubbi. Ma qualche certezza l’abbiamo raggiunta. Il nostro sport sarà sempre più compresso e globale, e andrà a stanare il dollaro laddove esso si annida. Non un grande scoop, visto che succede da 50 anni. Può darsi che il tennis stia sacrificando qualcosa sull’altare del Dio Denaro, ma direi proprio che è in ottima compagnia. Combattere il cambiamento, seppur indotto dal soldo, non è sbagliato né reazionario. È semplicemente inutile.