Il destino di alcuni giocatori è quello di essere ricordati per le sconfitte e non per le vittorie. È il caso per esempio di Paul Henri Mathieu, che perse il singolare decisivo nella finale di Coppa Davis contro la Russia nel 2002, oppure di Michael Russell, che vide sfumare una storica vittoria al Roland Garros su Guga Kuerten nel 2001, oppure ancora Victor Amaya, andato ad un passo dallo sconfiggere Bjorn Borg a Wimbledon nel 1978. Spadea invece non viene ricordato per una sola sconfitta, ma per diciassette, quelle consecutive subite nell’anno 2000.
Vincent, figlio di un italoamericano e di una colombiana, a 15 anni nel 1992 vince l’Orange Bowl e promette di essere una sorta di gemello di Andre Agassi. Fisico e gioco simile, Spadea era un baseliner dai buoni fondamentali e dal gioco muscolare, a cui difettavano gioco di volo ed efficacia al servizio.
Con lavoro e abnegazione però scala il ranking fino a quando fa il salto di qualità nel 1999, anno in cui raggiunge i quarti di finale agli Australian Open (dopo aver battuto proprio Agassi al quarto turno), la finale al torneo di Indianapolis, il quarto turno a New York e la semifinale a Lione.
Nel 2000, qualcosa però nella mente e nel gioco di Spadea, inspiegabilmente si spezza; da nuova promessa del tennis americano si trasforma in un ‘bye’.
Inizia in Australia perdendo ad Adelaide contro Alberto Martin, poi il romeno Voinea lo batte sia a Sydney che al primo turno di Melbourne. Tornato sul suolo americano, perde a Memphis dal brasiliano Sa e poi infila una serie di sorteggi sfortunati: a Scottdsale pesca Rios, a Indian Wells Kafelnikov e a Miami Ivanisevic. Tre sconfitte, zero set.
La terra europea dovrebbe adattarsi al suo gioco ma Zabaleta, Vinciguerra, El Aynaoui e Schuettler lo bastonano senza pietà. Alla World Team Cup di Dusseldorf rimedia altre tre sconfitte su altrettanti match con Tillstrom, ancora Schuettler e Kucera. A Parigi trova Henman e va subito a casa.
La crisi sembra irreversibile, anche perché arriva l’erba che è la superficie peggiore per il suo gioco. E infatti al Queen’s perde da Gimelstob e a Nottingham da Grosjean.
Arriva a Wimbledon e il sorteggio gli regala Greg Rusedski, il canadese-ucraino con la nazionalità britannica, testa di serie numero 22 e specialista dell’erba.
Sembra tutto apparecchiato per la diciottesima sconfitta di fila, quando Spadea tira fuori tutto l’orgoglio e il cuore che gli rimangono per vincere 9-7 al quinto set. Finisce un incubo ma la stagione non svolta. Continua a raccogliere sconfitte in serie fino a toccare il fondo al Challenger di Las Vegas, dove raccoglie un game con il venezuelano Jimy Szymanski, best ranking in carriera 160. Spadea conclude il 2000 con lo score di 3 vittorie e 28 sconfitte. Aveva iniziato l’anno al numero 20, lo conclude al 213.
La storia di Spadea però non finisce qui. Accetta di ripartire dai Challenger, passa altre tre anni di inferno finché non riesce a ricostruirsi una classifica decente.
È numero 29 del mondo e testa di serie numero 4, quando nel 2004 al Tennis Channel Open di Scottsdale batte Thomas Johansson, Wayne Arthurs, James Blake e niente meno che Andy Roddick in semifinale. In finale, il 7 marzo 2004, al 223esimo match nel circuito in carriera, batte Nicolas Kiefer 7-5 6-7 6-3, vincendo il suo primo titolo all’età di 29 anni.
Spadea non è più sinonimo di sconfitta.
La carriera di Vincent continuerà fra più bassi che alti, anche se si renderà protagonista di un’altra piccola impresa agli Australian Open del 2008, quando sarà in grado di rimontare per due volte consecutive due set di svantaggio, a Stepanek al primo turno e a Gremalmayr nel secondo, prima di perdere contro David Ferrer al terzo.
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