Questo è un capitolo tratto dal libro del 2014 “Solo uno- Analisi di una rivalità”, scritto da Rossana Capobianco e Riccardo Nuziale Non lo riconosceremmo più, ormai, quel tennis. Quello riservato solo a pochi, quello che gli amici ti guardavano come fossi un extraterrestre quando confessavi di rimanere a casa per seguire la finale di […]
01 Feb 2017 07:55 - Extra
Gli Australian Open stregati di Pat Cash
Nel 1987 e nel 1988 Pat Cash, dopo aver sempre battuto Lendl, si dovette inchinare in finale prima a Stefan Edberg e poi a Mats Wilander.
di Lorenzo Fabiano
Nel 1987 la settantacinquesima edizione degli Australian Open fu l’ultima a essere disputata sull’erba del vecchio Kooyong Stadium di Melbourne. Dopo il buio degli anni settanta, finalmente i migliori giocatori del mondo tornavano a giocare nello Slam dell’emisfero australe. Nel tabellone Ivan Lendl era la testa di serie numero uno, Boris Becker la due, Yannick Noah le tre, Stefan Edberg, detentore del titolo, la quattro, Henry Leconte la cinque.
Il ventunenne idolo di casa Pat Cash, fresco trionfatore in Coppa Davis un mese prima proprio a Kooyong contro la Svezia, occupava l’undicesima casella.
Boris Becker cadde agli ottavi contro l’australiano Wally Masur, che a sua volta fu facilmente superato in semifinale da Stefan Edberg. Lo svedese giunse in finale cedendo un solo set al secondo turno contro l’americano John Letts.
Dall’altro lato del tabellone, Pat Cash dopo aver eliminato Claudio Pistolesi e Ben Testerman entrambi in quattro set, approdò agli ottavi piegando Paul Annacone al termine di cinque tiratissime partite. Battuto in quattro set anche Noah nei quarti, l’australiano riuscì nell’impresa di sconfiggere il numero uno del mondo Ivan Lendl per 7-6 5-7 7-6 6-4, al termine di un match che mandò in delirio il pubblico di Melbourne.
Come detto, la sfida tra Edberg e Cash era la rivincita della finale di Coppa Davis che vide gli australiani trascinati del loro numero uno imporsi proprio sugli svedesi. In quell’occasione Cash aveva riservato a Edberg una bruciante sconfitta per 13-11 13-11 6-4. Questa volta, dopo tre ore e quaranta minuti di battaglia a colpi di Serve and Volley, fu Stefan Edberg a prendersi la rivincita. In vantaggio di due set, lo svedese si fece rimontare dal tenace australiano, ma nel quinto impose la propria infinita classe. 6-3 6-4 3-6 5-7 6-3 l’esito finale. Cash si sarebbe rifatto vincendo in quello stesso anno Wimbledon a spese, manco a dirlo, di Ivan Lendl, di cui divenne la bestia nera.
L’anno dopo il torneo, come deciso a suo tempo dalla Lawn Tennis Association of Australia, traslocò sul modernissimo impianto di Flinders Park. Abbandonata l’erba, la superficie prescelta fu il cemento gommoso conosciuto come Rebound Ace. Pat Cash, testa di serie numero 4, raggiunse agevolmente le semifinali, dove ripetè l’impresa dell’anno prima battendo nuovamente Ivan Lendl, questa volta in cinque set col punteggio di 6-4 2-6 6-2 4-6 6-2.
Nell’altra semifinale il campione uscente Stefan Edberg dovette inchinarsi in cinque partite nel derby con Mats Wilander, assente nel 1987 per il matrimonio con la modella sudafricana Sonya Mulholland. La finale fu un match molto spettacolare, interrotto per due volte dalla pioggia. Perso il primo set, l’australiano conquistò il secondo al tie break. Nel terzo Wilander accusò il colpo e andò sotto, salvo rinvenire nel quarto e rimettere quindi le cose in equilibrio. Quinto set al cardiopalmo: dopo un buon avvio dello svedese, Cash si portò sul 5-4 a due punti dal titolo, ma Wilander dapprima sventò la minaccia e nel tredicesimo game mise a segno il break decisivo per poi vincere a zero il gioco successivo. 6-3 6-7 3-6 6-1 8-6 il punteggio finale dopo quattro ore e ventotto minuti.
Quel giorno Wilander giocò uno dei match più belli della sua carriera, che gli valse il terzo alloro a Melbourne, dopo quelli del 1983 e 1984. Gli Australian Open continuarono così a parlare svedese. A Cash rimase l’amarezza di veder svanire, dopo averlo accarezzato per la seconda volta in due anni, il sogno di vincere il torneo di casa. Per sua stessa ammissione ebbe poco o nulla di cui doversi rimproverare. Le provò tutte e ci andò molto vicino, ma contro un Wilander in quel formato di più non si poteva davvero fare.