Roland Garros – Adriano Panatta, 40 anni dopo il trionfo: «La semifinale con Dibbs la mia partita più bella»

TENNIS – PARIGI – Di DANIELE AZZOLINI. Intervista ad Adriano Panatta, a 40 anni esatti dal suo trionfo al Roland Garros: «Contro Dibbs la mia miglior partita a Parigi, Borg quanti vizi…».

Le ore prima della finale, in quel 1976, anno di grazia, seguirono il tracciato di un copione comico. Un dito della mano destra chiuso nella portiera di un’auto e la sparizione di un paio di scarpe. Ricordi tutto, Adriano?

«Altro che… Allo stadio mi accompagnò un grande amico, che ora non c’è più. Era più teso di me. Non ero uscito ancora dall’auto che lui, preso da chissà quale furore, chiuse la portiera con una gran botta. Lo guardai negli occhi, poi guardai la portiera e al di là della portiera, il mio dito. Non sentivo nemmeno male, non chiedetemi perché. Lui quasi svenne. In realtà non successe niente, fu un miracolo».

Poi le scarpe, fatte venire in aereo da Roma…

«Vero anche questo. Entrai nello spogliatoio, ero il primo. C’era un silenzio quasi profondo. Ma le finali sono sempre così… Il clamore del torneo ormai s’è spento, si resta in due, e il silenzio fa da sottofondo, quasi sempre. Eppure avvertivo una vocina che mi diceva… Adriano, c’è qualcosa che non va. Mi guardai intorno convinto che da un momento all’altro Jimbo, Nasty o Vitas sarebbero spuntati da dietro qualche mobile, per prendermi di mira con qualcuno dei loro scherzi. E invece… Dopo un po’, davanti al mio stipetto, ebbi come un sussulto e tutto divenne chiaro. Le scarpe, oddio, le scarpe… Le avevo lasciate sopra lo stipetto ad asciugare e non c’erano più. Capii anche il perché. Bertolucci se l’era portate via, aveva lo stipetto di fianco al mio e doveva averle prese per le sue. Corsi a telefonare a Roma, a Manlio Bartoni. “Manlio, mi servono le scarpe”, urlai. E lui… «Aspé, mo’ te le tiro». Lo insultai, ma lui fu bravissimo. Ne prese un paio uguali in negozio e scappò a Fiumicino, c’era un aereo Alitalia in partenza per Parigi, tanto disse e tanto fece che riuscì a consegnarle al comandante. Io nel frattempo me n’ero procurate un paio da Nastase, ma diverse dalle mie, e stavo cercando di scriverci sopra con il pennarello il nome dello sponsor. Mandai un amico in aeroporto. Cinque minuti prima della finale me lo vidi comparire con in mano le scarpe che mi aveva mandato Manlio. Lì pensai: bè, se siamo riusciti a tanto, posso anche vincere»

Quarant’anni fa…

«Mamma mia, quanti. Ma sono ancora un bel signore con un po’ di capelli brizzolati, via non è andata poi così male, no? Dai, scherzo, lo sai».

Lo so, lo so… Mi avevi promesso che l’avresti cercata la Coppa di Parigi. Lo hai fatto?

«Sparita. In qualche trasloco, uno dei tanti. Sì, l’ho anche cercata, giuro. Ma, insomma… Chiunque voglia sapere chi ha vinto a Parigi nel 1976, va su Internet e mi trova. Non è così necessario vivere con una Coppa al seguito».

Penso di no, non saprei… Ammetto però che hai sempre avuto una “grace naturelle” per le battute. Restiamo sul Roland Garros. Tanti ti chiedono di Borg, ma la tua partita più bella fu un’altra.

«Quella con Dibbs, in semifinale. Di gran lunga la più bella che abbia mai giocata al Roland Garros. O meglio, più che bella, perfetta. Ogni colpo che tiravo, un punto. Mi riusciva tutto bene, tutto facilmente».

La magia che tornava a farsi sentire?

«Tu ci scherzi. Ma quando giocavo, a volte mi sembrava di sentirla davvero. E allora tutto assumeva un senso logico. La verità è che in quei giorni stavo bene, ero contento, non avvertivo la fatica, ero in forma. Non dimenticare che vincere Roma e Parigi di seguito era una faticaccia cane. Vinsi gli Internazionali, mi concessi una serata di festeggiamenti, e la mattina dopo ero al Roland Garros».

A incontrare Hutka…

«Ma sai che l’ho rivisto l’anno scorso? Arrivo a Parigi, ero nella zona bagagli dell’aeroporto, e sento uno che mi chiama. Mi giro e mi vedo un signore dai grandi capelli biondi, fisico perfetto. E chi è questo ficaccio? Poi si è presentato, sono Pavel. Gli ho detto, ammazza Pavel, quella volta vinsi io, ma alla distanza hai vinto tu».

Gli anni di Borg. E tu che lo battevi a Parigi…

«Due volte, sì. Mi trovavo bene con il suo gioco, lo mettevo fuori quadro. Era un grande Bjorn, fisico perfetto, anche se si permetteva non pochi stravizi. Lo chiamavano lo svedese di ghiaccio, mi veniva da ridere quando lo sentivo. Pensavo… Se solo lo conoscessero! Sono stati i suoi insegnamenti, purtroppo, a rendere il tennis uno sport di soli muscoli, più fisico e meno tecnica».

Domenica la premiazione.

«Sono stati carini, qui hanno sempre un pensiero affettuoso per gli atleti che hanno vinto sui loro campi»

Anche Roma alla fine ha fatto qualcosa…

«Grazie a Malagò. Mi ha telefonato… Insomma, a lui non potevo dire di no».

Dalla stessa categoria