Ace Cream / Roland Garros in sofferenza, forse è giunto il momento di passare la mano per qualche anno

TENNIS – PARIGI – Di DANIELE AZZOLINI. È un torneo in grande sofferenza, il Roland Garros. Non lo era, lo è diventato. E non c’entra la pioggia, non del tutto quanto meno. Forse c’entrano le determinazioni del G8 sulle condizioni climatiche, e magari, al prossimo convegno dei Grandi si parlerà anche di tennis.

Per spiegare – a esempio – come sia possibile che a Wimbledon, costruito il tetto sul Centre Court, abbia smesso di piovere, mentre qui a Parigi – dove viene da pensare che il tetto non lo vedranno mai – piove ormai da quattro anni, e sempre e solo nei giorni del Roland Garros. Idea! Portare i campi in terra rossa a Wimbledon, e quelli in erba qui al Bois de Boulogne… Dite di no? E va bene, ma tenete conto che lo sfaldamento dei ghiacci del Nord, ha deviato il corso di un ramo della Corrente del Golfo, indirizzandola verso la Gran Bretagna. E così, lì clima temperato, effetto serra. E qui, pioggia che dio la manda, ed effetto serre, visto che la possibilità di costruire il famoso nuovo campo sui terreni delle serre liberty (di struggente bellezza) di fianco all’impianto, i citoyens del quartiere di Auteuil non lo daranno mai. Mah…

Eppure, i problemi più grandi non vengono dalle gocce che cadono da 40 ore di seguito e che di sicuro porteranno il torneo a una chiusura ritardata (lunedì? Martedì?), o peggio, dato che è prevista pioggia fino a domenica; il dramma autentico viene dalla paura di attentati che stringe Parigi in una morsa. Comprensibile, certo, dopo quello che è successo. Di più, logica e doverosa. I controlli sono quadruplicati, e c’è poco da fare. Nessuno con un po’ di sale in zucca potrebbe prendersela per questo. Personalmente penso che più mi controllano, e più sono tranquillo. Ma tutto va organizzato con mano diversa, più logica, meno caotica. Penso possiate immaginare come la Sicurezza, con tutto quello che comporta, non sia una scienza esatta. O forse è chi ne applica le norme a non essere uno scienziato. Così, cancellate per motivi di security tutte le vie di fuga dall’impianto (navette, ingressi multipli e altro), il pubblico viene spinto a raggrumarsi in enormi file, sia all’ingresso, sia all’uscita. E lì la paura la si legge nei volti della gente. Come l’altra sera, quando non meno di due o tre mila persone si sono addensate all’interno della metropolitana di Porte d’Auteuil, costringendo la polizia a presidiare gli ingressi girevoli in modo da far defluire il pubblico senza che qualcuno si facesse male.

Ho conosciuto il Roland Garros quando, fra i tornei dello Slam, insegnava l’arte della buona organizzazione. C’erano spazi, grandi sale, il primo centro stampa su tre piani, e gustare un gelato sulle panchine all’ombra delle statue dei quattro moschettieri, forgiate da Vito Tongiani, era un delizia. In quegli anni, a Wimbledon, noi italiani si andava con i fiaschi di Chianti: li regalavamo al capo ufficio stampa e lui ci dava dei buoni posti. Poi gli altri Slam hanno investito su loro stessi, e continuano a farlo. Parigi ha smesso e il torneo è regredito. È il più piccolo, e per questo anche il meno frequentato. Hanno aggiunto una domenica per fare qualche soldo in più, e l’impressione è che nei giorni centrali del torneo vengano venduti più biglietti di quanto sia necessario. Nei viali interni, a volte, non si passa. Ora, la paura degli attentati e il braccio di ferro con l’amministrazione comunale per gli ampliamenti richiesti sta creando una situazione di pericoloso stallo. Forse, sempre che non si voglia tentare di deviare ulteriormente quel ramo della corrente del golfo, per indirizzarlo verso la Francia, conviene prendere atto che uno Slam così in sofferenza, non conviene a nessuno. Forse Parigi potrebbe passare la mano per qualche tempo, cedere il torneo in leasing (Madrid ha le strutture, Roma no, ma sarebbero le uniche candidature possibili) per due o tre anni, risolvere i problemi, allentare le tensioni, e ricominciare in un impianto rivisto e corretto. Forse… Ma come sempre, le buone idee (ammesso che questa lo sia) sono le ultime a essere prese in considerazione.

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