Darderi, un affare di famiglia

Ha una lunga storia la vittoria di Luciano Darderi nella Cordoba sudamericana, città dove si costruiscono aerei e si insegna a volare. Una storia che rimbalza tra l’Italia e l’Argentina più volte, allo stesso modo di una pallina sul campo da tennis, e mischia l’arte della sopravvivenza all’amore per uno sport, la dedizione alla famiglia e la voglia d’indipendenza, nella quale i giovani protagonisti di oggi, Luciano che compie 22 anni domani e il fratello Vito, nato nel 2008, sono chiamati ad assolvere una funzione ben più complessa di quella che spetta normalmente ai tennisti. Sono i figli del destino, e saranno loro a dover dire se ne è valsa la pena di fare tanti sacrifici. Una risposta che la famiglia Darderi attende da due generazioni.

Luciano, fresco di successo, travolto dai baci della fidanzata ventenne Brianna Guagliardo (modella e ballerina con un gran seguito su Tik Tok), ebbro di piaceri sconosciuti, come il primo trofeo dell’Atp Tour da alzare al cielo, la classifica che d’improvviso si trasforma in una fionda e lo scaglia là dove non è mai stato, tra i primi cento, addirittura al numero 76, facendogli saltare a piè pari sessanta posizioni che per altri rappresentano anni di duro lavoro, porta con sé una lieta novella: la strada è quella giusta.

Ne sarà felice papà Gino che i figli tennisti li accudisce come farebbe una balia. Ex giocatore cresciuto da Felipe Locicero, che fu il primo maestro di Guillermo Vilas, Gino funge da project manager dei destini tennistici dei due figli, da insegnante, da coach, da cuoco, da autista. Non è diventato professionista, perché i soldi sono sempre stati pochi e l’Argentina è tradizionalmente sede di pochi tornei, obbliga a tortuosi viaggi per cercarli nei Paesi più vicini, e a pensare all’Europa e all’Italia, «dove c’è un torneo a settimana», come a un sogno. Tanto più se si hanno origini italiane. Fu il nonno, padre di Gino, a muovere da un paese vicino Firenze alla volta di Buenos Aires, per poi trovare casa a Villa Gesell, sulla costa atlantica, dove Luciano è nato nel 2002. Il ritorno nel nostro Paese è avvenuto intorno al 2012, e da noi Luciano ha completato la preparazione per abbordare i primi tornei in forma professionale. Ma lui, una racchetta in mano, ce l’ha da quando aveva due anni. Per gioco, ovviamente, ma è da sempre il modo migliore per fare l’abitudine ai ferri del mestiere.

Ha vinto due titoli ITF, entrambi a Monastir nel 2021, in Tunisia, e due Challenger nel 2023, a Todi e Lima. Ora il primo titolo Atp, che gli vale 85 mila dollari di montepremi e una classifica buona per entrare in quasi tutti i tornei senza passare dalle qualificazioni.

A Cordoba, terra rossa ma veloce, la finale con il trentatreenne Facundo Bagnis, anche lui qualificato, è stato il passo meno complicato di una settimana che ha visto Luciano impegnato da confronti di alto livello. Ha sconfitto il cileno Barrios Vera, non ha fatto toccare palla all’austriaco Hofner e ha dato il meglio di sé contro il tedesco Hanfmann (56) e l’argentino Sebastian Baez, numero 30 ATP, che ha quasi scherzato nel primo set, prima di vincere al terzo. Contro Bagnis ha vinto facile il set d’avvio e condotto 2-0 il secondo, prima che l’avversario provasse a far gara di resistenza. Restituito il break, Luciano ne ha piazzato un altro sul 4 pari, alla sesta palla break, ed è andato a vincere. Non male per essere appena alla terza apparizione nell’ATP Tour.

Luciano ha il doppio passaporto. Non ama il calcio, ma segue i mondiali e tifa Argentina. Il suo cuore è rimasto oltre oceano. Insomma, oggi tra di noi, domani chissà… Vito, il fratello, si sente più italiano e ha rappresentato il nostro Paese nelle gare a squadre juniores. Papà Gino ha sempre detto che tra i due il secondogenito aveva più talento, ma non ha mai escluso che Luciano avrebbe potuto stupirlo. Ci è riuscito, e grazie a lui l’Italia torna a sei tennisti nei primi cento. Con una particolarità. Cinque di essi sono Under 23.

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