Australian Open: a tu per tu con Olga Danilovic, astro nascente sulle orme di papà Sasha

TENNIS – AUSTRALIAN OPEN – Dall’inviato a Melbourne Samuele Delpozzi

Lei è Olga Danilovic, figlia dell’indimenticato “Sasha” – all’anagrafe Predrag –, fuoriclasse dell’imbattibile Virtus Bologna di basket degli anni ’90. Quindici anni compiuti proprio oggi, la serba si è vista rovinare la festa dalla coetanea russa Anastasia Potapova, vittoriosa con un netto 6-2 6-1 nel loro scontro sul campo, nonostante la nutrita presenza di connazionali a sostenerla sul Campo 15.

Belgradese di nascita ma seguita da un management spagnolo (Alex Corretja, due volte finalista al Roland Garros, e l’ex arbitro di sedia Enric Molina, entrambi barcellonesi), Olga non ha perso il luminoso sorriso nonostante la sconfitta, ed ha accettato volentieri di scambiare quattro chiacchiere con noi al termine dell’incontro. Conosciamola meglio.

 

D: In Italia sei già piuttosto nota per via del cognome – tuo padre è stato una grande stella del basket. Come mai hai scelto il tennis anziché la pallacanestro?

R: A dire il vero il basket non mi è mai piaciuto! Anche se sono alta non ho mai pensato che fosse lo sport per me. Preferisco gli sport individuali e così ho scelto il tennis, che mi ha subito appassionata.

D: Ti alleni sempre a Belgrado oppure anche in Spagna, visto che i tuoi manager sono iberici?

R: Sì, ogni tanto mi alleno anche in Spagna, ma continuo a vivere a Belgrado. Anche se in realtà, viaggiando molto per i tornei, non sono quasi mai a casa.

D: Questo era il tuo primo torneo dello Slam? Considerato che hai solo 14 anni…

R: Sì, era il primo, anche se proprio oggi ne compio 15! Comunque un’esperienza incredibile.

D: Auguri allora! Pensi di essere stata un po’ sfortunata col sorteggio? Ho seguito la partita e la tua avversaria ha giocato davvero bene.

R: Beh, lei ha giocato in maniera incredibile. Ho avuto alcune opportunità che non sono riuscita a sfruttare, ma nel complesso sono tranquilla, non posso rimproverarmi molto.

D: Ricordo che avevi già incontrato la Potapova lo scorso anno a Tarbes, nella finale del torneo dei Petits As (il più importante torneo mondiale under 14, ndr). La conosci bene? Che opinione hai di lei?

R: Sì, la conosco bene, visto che è del 2001 come me. Abbiamo giocato molto spesso gli stessi tornei e l’ho incontrata già un paio di volte, tra cui la finale di Tarbes. È davvero un’ottima persona.

D: Infatti abbiamo assistito ad una bella stretta di mano, con tanto di abbraccio. Siete anche buone amiche, oltre che concorrenti?

R: Sì, d’altronde passiamo molto tempo insieme agli stessi tornei. Non ci si può comportare male con chi si incontra così spesso.

D: Quindi non è proprio vero ciò che ha dichiarato la Muguruza, cioè che nel tennis femminile non esiste amicizia…

R: No, non è del tutto vero. Ci sono molte brave persone in giro, con loro si può diventare amici senza difficoltà.

D: Hai in programma di giocare anche qualche torneo professionistico, qualche ITF, oppure solo nel circuito junior?

R: Sì, probabilmente quest’anno proverò a giocare qualche ITF in Serbia, però non voglio bruciare le tappe. Preferisco crescere gradualmente, un passo alla volta.

D: Quale superficie ti piace di più, o pensi che si adatti meglio al tuo gioco?

R: Non ho ancora mai giocato sull’erba, però penso che possa diventare il mio terreno migliore: ho un buon servizio e colpi piatti, quindi potrebbe essere l’ideale. Per il momento però è il cemento.

D: E qual è il tuo colpo migliore? Ho notato che hai un diritto potente e con uno swing piuttosto ampio.

R: Proprio il diritto, ma anche il servizio: sono alta, quindi la battuta è un’arma molto importante per il mio gioco.

D: In campo hai grande temperamento, mentre al di fuori sembri molto più tranquilla e sorridente…

R: Beh, non ti ricordi com’era mio padre? Ho la sua stessa carica agonistica! (ride) Comunque sì, quando gioco sono molto intensa, ma una volta finito il match mi piace rilassarmi e scherzare con le persone che mi stanno accanto.

 

Se è vero che buon sangue non mente, ne risentiremo ancora parlare. Forse anche prima di quanto si immagini.

 

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