Federer e i colpi inventati: come si cambia (per non morire)

 

TENNIS – QUIET PLEASE! – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Il ritorno di Roger Federer alle competizioni dopo la finale persa a Wimbledon segna anche (forse) un ennesimo punto di svolta per lo svizzero, capace sempre di rinnovarsi: la risposta anticipata non può essere una costante ma una variante efficace e ci dimostra quanto le superfici veloci permettano una maggiore creatività e varietà di gioco.

C’è una grande ed ancestrale verità universale, valida nella vita come in tutti i suoi ambiti, sport compresi: sopravvive solo chi non si oppone ai cambiamenti e si adatta all’ambiente. E’ quello che dopo il 2004 è toccato fare a Roger Federer, che nasce attaccante a tutto campo e si trasforma, causa rallentamento ed omologazione delle superfici in un attaccante da fondo campo. Spesso anche un contrattaccante, nelle giornate più pigre.

Il talento è tanto ma il crescente atletismo che sta invadendo anche il mondo del tennis non premia più solo chi sa toccare la palla ma soprattutto chi arriva prima sulla palla: e dati i ritmi forsennati, deve arrivarci piuttosto in fretta.

E date le immense doti e le ambizioni sconfinate dello svizzero, i risultati sono strabilianti.

Quando ad inizio 2014 Roger Federer, fresco di separazione da Paul Annacone, che ne ha comunque rinnovato le qualità di anticipo, si affida a Stefan Edberg, moltissimi pensano ad un’operazione d’immagine. Così non è: Edberg è da sempre l’indiscusso idolo tennistico di Roger che crede di poter trarre giovamento dagli insegnamenti di una persona che stima così tanto. Dal 2014, gradualmente, il gioco di Federer cambia. Si rinnova, ancora.

Con la maturità è arrivata anche una maggiore predisposizione ai tentativi, un’apertura a ciò che prima, visto l’ambiente circostante, si faceva fatica a credere:
“Il mio rovescio è sicuramente migliorato e la mano di Edberg è certamente evidente, ma devo dare grande merito anche alla nuova racchetta, prima steccavo molto più spesso”. La racchetta: un altro cambiamento, un altro adattamento. Da 90 a 97, perché anche se i piedi vanno ancora a mille la reattività e la forza non possono essere quelle di 10 anni fa.

Da allora il gioco di Federer è divenuto sempre più aggressivo: a rete costantemente, quasi mai più risposte passive, la prima spinta di più e più varia, rovescio lungolinea giocato in maniera più continua.

A Cincinnati, torneo adesso vinto per sette volte dall’elvetico (tra i MS1000, quello che ha vinto più volte), Federer si inventa un colpo nemmeno pensabile per altri giocatori -perlomeno per i contemporanei- , la risposta in demi-volée, senza neanche aprire il colpo, con i piedi quasi sulla riga che delimita il quadrato del servizio. Lo fa con tutti: Bautista Agut, Kevin Anderson, Feliciano Lopez, Andy Murray e Novak Djokovic. Con il numero uno e due del mondo, esatto. Senza paura. Senza le paturnie dei tempi nei quali a cambiare non ci pensava nemmeno. E la curiosità consiste nel fatto che nasca per scherzo: “L’ho provata per divertirmi in allenamento e ho visto che non faticavo ad eseguirla, allora mi sono detto: perché no?!”.

Naturalmente il fatto che Cincinnati abbia una delle superfici più rapide del circuito ha influito sulla scelta dello svizzero di metterla in pratica; non è un caso che le ultime due vittorie contro Djokovic siano arrivate a Dubai e a Cincinnati, con condizioni di campo e palline veramente rapide. Agli US Open per esempio sarà già più difficile che abbia gli stessi risultati, ma l’attitudine di Roger è ormai quella di provare, inventare, divertirsi, non avendo più niente da dimostrare. A 34 anni è ancora numero due del mondo e batte i più forti, reinventandosi, motivandosi ogni volta in maniera diversa.

E viene da chiedersi: se è vero che l’omologazione ha permesso ai più forti (e quindi anche a Federer nei suoi anni di dominio) di non doversi adattare a nuove condizioni e non soffrire gli specialisti e dunque le sorprese, contro i diretti rivali quanti Slam in più avrebbe vinto Federer se ci fossero sempre state queste condizioni sul cemento?

Non lo sapremo mai, ma possiamo immaginarlo.

 

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