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TENNIS – Di Andrea Scodeggio
Wimbledon non solo sa distinguersi per il fascino che emana e l’importanza dell’evento, ma spesse volte anche per i punteggi. Ne compaiono sempre più di particolari, come quello fra Marin Cilic e John Isner, terminato 12-10 al quinto set, dopo che il giorno prima erano stati sospesi sul 10 pari.
Anche il canadese Vasek Pospisil ha dovuto sudare per battere l’inglese Ward, vincendo 8-6 al quinto, oppure il croato Ivo Karlovic che ha vinto contro Aleksandr Dolgopolov 13-11 al quinto.
Alcuni esempi di partite conclusesi al quinto set, un fenomeno per niente sporadico ai Championships. In verità il quinto set senza tie break è sempre esistito, ma è innegabile come l’evoluzione del tennis, con i suoi scambi da fondo campo e servizi preponderanti, abbia allungato sempre più le proprie partite. Non si condanna tutto ciò ma, cercandone le motivazioni, un fattore è sempre stato trascurato in questi anni: l’altezza.
Solo contando i primi tre turni di Wimbledon, ci sono stati ventotto match andati al quinto set (il numero più elevato dal 2010) e ben trentuno di questi giocatori, che hanno giocato il quinto parziale, erano oltre il metro ed ottantacinque centimetri d’altezza. E’ un dato quantomeno curioso e che dovrebbe far riflettere come il mondo del tennis si sia evoluto nel gioco, ma anche perché si è evoluto nel fisico.
L’altezza non deve essere vista come un fattore demoniaco, ma questo cambiamento ha portato delle differenze che hanno condizionato il mondo del tennis e portato a questa situazione. Innanzitutto gli scambi da fondo fanno parte del modo di interpretare il gioco e ciò ha favorito i giocatori alti, poiché sono solitamente meno in grado di muoversi sotto rete, complici la mole di peso ed il bilanciamento che possiedono, e meno rapidi negli spostamenti brevi rispetto ai bassa statura. Vero anche che ci sono tennisti alti che praticano il ‘serve&volley’, ma questo perché sfruttano il fattore servizio che apre la strada al punto, prima di chiudere sotto rete.
Veniamo quindi al secondo tema di questa evoluzione: il servizio. Al giorno d’oggi è divenuto un colpo fondamentale, qualcosa di cui non si può farne a meno se si vuole impostare una partita di un certo tipo. Mettendo più prime potenti in campo, o semplicemente sfoderando ace, il tennista avrà più facilità di portarsi a casa il punto e senza nemmeno spendere troppe energie. Con l’altezza, il fattore servizio è divenuto ancora più importante, poiché il punto d’impatto della pallina si è notevolmente alzato ed è molto più facile creare un rimbalzo alto, e più veloce, una volta che la palla avrà impattato il terreno dall’altra parte del rettangolo di gioco. Ciò significa meno turni di battuta persi e molti più tie break da giocare.
Negli altri tornei il problema non si pone ma quando si arriva negli slam è facile che il quinto parziale assumi delle proporzioni di punteggio spaventose, non essendoci il tie break. L’erba di Wimbledon è uno dei circuiti più veloci e favorisce questo tipo di tennis impostato sul servizio, non a caso proprio qui si è assistito alla partita più lunga di sempre, Isner contro Mahut, con entrambi i giocatori alti sopra il metro e novanta centimetri (addirittura l’americano oltre i due metri) e l’incredibile punteggio di 70-68 per l’americano.
Il quinto set senza tie break esiste da sempre ed i pareri sull’abolirlo o meno sono sempre stati discordanti, ma è chiaro come ad oggi sia una situazione sempre più incontrollata. Ne guadagnerà lo spettacolo, ma poi il problema sussiste quando gli organizzatori devono stravolgere i programmi, perché un match è andato per le lunghe, creando ingorghi tra le varie partite e ritardi accumulati.
Tempo addietro David Ferrer aveva già denunciato come i piccoletti, ovvero quelli non superiori al metro e settanta centrimetri, stiano divenendo una specie in via d’estinzione, quando prima erano la maggioranza. Naturale che nessuno sia contrario all’evoluzione dello sport che ci piace sempre guardare e raccontare, nemmeno si vuol giudicare in malo modo un atleta per la sua statura, ma semplicemente si pone una riflessione. Un monito per chiedersi: ma davvero il tennis, con questa evoluzione del gioco e quindi del fisico, può ancora permettersi il lusso di un ultimo set senza tie break, nelle prove del grande slam? Lo spettacolo non deve essere sinonimo di incoscienza.